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In realtà l'indagine mette a fuoco il motivo per il quale in Italia – a differenza, ad esempio, di quanto accaduto in Francia e Spagna – gli incrementi sui tassi fissi siano stati molto più precoci rispetto agli adeguamenti del tasso variabile. I tassi variabili sono rimasti sostanzialmente invariati fino al primo rialzo dei tassi di politica monetaria a luglio 2022. Questa asincronia fra i movimenti dei tassi fissi e variabili ha portato a un aumento del differenziale fra i due tassi, che in Italia ha toccato picchi di quasi 100 punti base, inducendo un repentino cambiamento delle scelte delle famiglie italiane verso il tasso variabile, allo scopo di limitare i pagamenti con rate più basse rispetto a quelle a tasso fisso.
Tuttavia, da fine 2022, proprio quando le erogazioni a tasso variabile erano al picco, il differenziale fra i due tassi è tornato ad assottigliarsi e il segno si è invertito a favore dei mutui a tasso fisso, ora meno onerosi rispetto a quelli a tasso variabile.
Altro aspetto interessante che emerge dall'indagine è che, nonostante la diffusione del variabile, il numero di famiglie che rischia di trovarsi seriamente in difficoltà nell'affrontare rate sempre più crescenti è limitato. A dicembre 2022 il tasso variabile rappresentava circa il 40% dei mutui in essere. Secondo lo studio le famiglie che tendono a ricorrere all'indebitamento a tasso variabile non sono generalmente a basso reddito.
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