Come evitare la patrimoniale sui tuoi risparmi

Tasse sulle rendite finanziarie, patrimoniali sui risparmi, prelievi forzosi sul conto corrente. Il rischio esproprio è sempre alto in Italia. Come difendersi legalmente!

Obbligazioni ad alto rendimento

I tassi sui titoli di Stato, obbligazioni e conti deposito sono ai minimi. Rendimenti e rischi delle obbligazioni High yield. Quali le migliori?

Come dichiarare e pagare l'Ivafe

Dichiarazione fiscale delle attività finanziarie all'estero (inclusi conti correnti e forex). Come dichiarare l'Ivafe, il bollo sulle attività all'estero.

Quali tasse si pagano per i guadagni sul Forex?

Ci sono tasse sul Forex? Quali e come si pagano? Dall'Ivafe al capital gain, ecco come dichiarare e pagare al Fisco le tasse sul Forex.

Migliori conti correnti a zero spese

Classifica migliori conti correnti senza spese. Dove non si paga il bollo. Confronto banche online.

giovedì 28 gennaio 2016

Detrazioni fiscali 2016 per ristrutturazioni e mobili

Nuovo bonus mobili per le giovani coppie e via libera a tutti gli sconti degli scorsi anni anche per quello appena iniziato. La Legge di Stabilità per il 2016 è infatti intervenuta anche sul tema degli sconti concessi nel caso di acquisti di elettrodomestici e arredi. Più in dettaglio, la Legge di Stabilità ha in primis prorogato di altri di 12 mesi il cosiddetto bonus elettrodomestici e arredi. Sinteticamente lo stesso prevede una detrazione del 50%, da dividere in 10 anni, su una spesa massima di 10 mila euro che abbia per oggetto l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici di classe almeno A+ (A per i forni). Trattandosi di una semplice proroga sono confermate tutte le regole e i chiarimenti precedenti tra cui quello per cui il bonus è riconosciuto solo a coloro i quali beneficiano anche della detrazione del 50% per la ristrutturazione. Per tutto il 2016 quindi è stato concesso il via libera al bonus.

martedì 26 gennaio 2016

I migliori fondi obbligazionari ad alto rendimento

Un calo del 7% in una settimana si può recuperare. Ma a fare notizia oggi, in presenza di mercati tanto complicati, è che sono cambiate le regole del gioco. C’è meno liquidità, il mercato è molto meno direzionale e la gestione (per la verità già da tempo) si sta adeguando. Basti vedere la quantità di prodotti flessibili che l’industria sta proponendo ai clienti. E, con uno sguardo approfondito all’interno dei portafogli, si può vedere come a fronte di un alleggerimento sul fronte dell’equity faccia da contraltare una leggera crescita del debito. Non certo governativo ma corporate, nella fattispecie high yield Europa, ovvero ad alto rendimento.

lunedì 25 gennaio 2016

Previsioni sul petrolio nel 2016 - analisi di dettaglio

La scorsa settimana sarà ricordata come quella che ha visto scendere stabilmente il prezzo del petrolio sotto i 30 dollari al barile, travolto da un profluvio di vendite e dalla consapevolezza che la capacità produttiva supera tuttora la domanda. A tutto ciò si è aggiunta la notizia, diffusa sui mercati venerdì 15 gennaio, che l’Iran porterà sui mercati il suo petrolio un mese prima del previsto, grazie all’anticipo della rimozione delle sanzioni in forza dell’accordo raggiunto con Usa ed Europa a luglio del 2015. Scrive Marketwatch (gruppo Wall Street Journal) che secondo un’analisi del gruppo bancario Anz (Australia and New Zealand Banking Group) il ministro del Petrolio iraniano Bijan Namdar Zanganeh e il presidente Hassan Rohani si sarebbero già impegnati ad aumentare la produzione di 500 mila barili al giorno entro alcune settimane dalla fine delle sanzioni e della stessa quantità fra sei mesi.

giovedì 21 gennaio 2016

Migliori obbligazioni indicizzate all'inflazione

Il comparto obbligazionario dei titoli indicizzati esprime piuttosto fedelmente le attese dei mercati sulla dinamica dell’inflazione. Nel contesto attuale la moderazione nell’andamento dei prezzi ha innescato politiche monetarie anti-deflative, volte al raggiungimento di obiettivi di crescita decisamente superiori, ma il mercato degli Index Linked, in particolare nell’area euro, sconta livelli inferiori ai target istituzionali anche per il futuro. Per esempio il breakeven relativo all’Oat francese con scadenza ’22, tra le emissioni europee più liquide, anticipa al momento un’inflazione a scadenza pari all’1,3% contro il 2% previsto dalla Bce. Il tasso d’inflazione rappresenta per sua natura un fenomeno difficilmente prevedibile e ciò rende sempre opportuna la diversificazione su tali strumenti, a fronte di obiettivi d’investimento fondamentali.

martedì 19 gennaio 2016

Obbligazioni alto rendimento per il 2016

Saliscendi d’estate a parte, il 2015 è stato un anno molto buono per i mercati obbligazionari europei, con i rendimenti che sono scesi in maniera importante soprattutto a partire dallo scorso settembre, una volta rientrati i timori legati a un’escalation della crisi greca e al crollo delle borse cinesi. Contemporaneamente la Bce ha continuato a comprare a mani basse i titoli obbligazionari in euro e ha confermato più volte che la politica monetaria espansiva continuerà almeno fino a marzo 2017, quindi anche oltre il termine di settembre 2016 indicato precedentemente da Draghi.

Infine, la Federal Reserve ha ritardato il cambio di trend della politica monetaria statunitense sino allo scorso 16 dicembre, quando ha aumentato il tasso di interesse di riferimento, senza però escludere l’ipotesi di un futuro dietrofront se sarà necessario. In ogni caso il divario tra i tassi pagati sui mercati obbligazionari americano ed europeo è importante: il Treasury a dieci anni rende infatti attorno al 2,27%, in calo dai massimi di quest’estate attorno al 2,48% ma ben sopra i minimi di fine gennaio (1,64%). Lo scenario, insomma, è stato di assoluto favore per i bond europei, che si sono apprezzati di conseguenza, portando così gli investitori, sempre più affamati di rendimenti, a sottoscrivere con entusiasmo molte delle tante emissioni corporate high yield arrivate sul mercato per finanziare operazioni di merger&acquisition.

Secondo i calcoli di Dealogic, le emissioni di bond ad alto rendimento a supporto di acquisizioni in Europa lo scorso 9 dicembre avevano raggiunto quota 37,6 miliardi di dollari, in aumento del 15% rispetto alle emissioni di questo tipo effettuate in tutto il 2014 (32,6 miliardi). L’Europa ora pesa per il 33% sul totale del mercato delle emissioni a supporto di attività di m&a; la percentuale più alta mai registrata. D’altra parte, a fronte della grande liquidità presente sul mercato, i tassi governativi sono ormai davvero risicati, quando non a zero, ed è quindi ovvio che gli investitori si dirigano verso asset più rischiosi in grado di pagare di più rispetto alle briciole offerte in questo 2015 dai titoli governativi, soprattutto in Europa. In questi giorni infatti il Bund tedesco paga lo 0,6% a dieci anni, dopo aver toccato un massimo a 0,98% a metà giugno e un minimo a 0,075% in aprile. Per non parlare dei rendimenti negativi per le scadenze brevi sul secondario, che da mesi sono ormai la norma.

Anche in Italia, dove non si era mai vista, tale situazione si è puntualmente verificata nei mesi scorsi. Non solo; anche in Italia per la prima volta nella storia il Tesoro ha piazzato in asta Bot con rendimenti negativi. È accaduto a novembre, quando i titoli a sei mesi e a un anno sono stati collocati rispettivamente a un rendimento medio ponderato del -0,030% e del -0,055%, dopo che sul mercato secondario i rendimenti erano entrati in territorio negativo già da una ventina di giorni. Così, il Bot a un anno, che aveva iniziato il 2015 attorno a quota 0,35%, lo sta finendo su quota -0,019% e il Btp a dieci anni, che era partito attorno al 2% e aveva toccato un minimo all’1,1% a marzo e un massimo al 2,39% a fine giugno, è via via sceso sino a portarsi nella fase attuale attorno a 1,67%.

Va anche segnalato che a inizio dicembre era sceso fino all’1,4%, ma il recupero dei rendimenti di queste ultime settimane sembra il riflesso delle tensioni che si sono viste sul mercato dei bond high yield dopo il collasso di un fondo di credito gestito dall’asset manager americano Third Avenue Management (che ha bloccato i rimborsi ai sottoscrittori) e conseguenti timori del mercato in merito all’ipotesi che l’episodio possa non rappresentare un caso isolato.

C’è chi teme infatti un effetto-domino generale, innescato dall’aumento dei default sui titoli a rating speculativo, soprattutto nel settore oil&gas, causato dal crollo dei prezzi di petrolio e materie prime, che sta affossando le valute e le economie di molti Paesi emergenti esportatori. Il premio pagato sui contratti di credit default swap per proteggersi dal rischio di fallimento degli emittenti di debito in euro con rating speculativo è infatti salito all’improvviso a metà dicembre, quando l’indice iTraxx CrossOver di Markit ha toccato i 350 punti base partendo dai 290 dei giorni precedenti l’annuncio della chiusura del fondo di Third Avenue. Negli ultimi giorni l’allarme è un po’ rientrato e lo spread si è riportato sotto i 330 punti base, comunque sempre ben sopra i minimi della scorsa primavera attorno a 240 ma sotto i massimi di settembre a 380.

Lo scossone prenatalizio va in realtà letto come un’opportunità di investimento, se si è in grado di evitare le emissioni davvero a rischio. Tutti i titoli di emittenti con merito di credito medio-basso hanno infatti visto aumentare i rendimenti nelle ultime settimane, in particolare se si confrontano con i minimi toccati la scorsa primavera, ma il movimento ha appunto riguardato un po’ tutti gli emittenti, lasciando quindi spazio alle occasioni d’acquisto. Per quanto riguarda i titoli corporate high yield italiani, la tabella pubblicata in pagina mostra come sono cambiati i rendimenti nel corso degli ultimi sei mesi. In alcuni casi sono saliti in maniera significativa a causa di eventi legati direttamente alla società emittente, come nel caso di Manutencoop o di Astaldi, ma in altri casi si tratta davvero di un riflesso condizionato dall’andamento generale del mercato, come per i bond di Cerved del gruppo Fca.

lunedì 18 gennaio 2016

Come investire nel 2016 - azioni USA

Ci ha provato per tutta la prima parte del 2015, ma senza successo. Ci ha riprovato a fine luglio, una volta disinnescata la bomba a orologeria sulla Grecia, ma ancora senza successo. Ha ritentato infine a inizio novembre, quando ha smorzato i toni il tifone di fine estate proveniente dalla Cina, tentativo andato ancora a vuoto. Finora sono stati quindi i dubbi a prevalere sulla prima piazza azionaria mondiale, negando all’S&P500 l’apertura di nuovi record storici faticosamente conquistati la scorsa primavera. Dubbi che riguardano l’esterno, come la ripresa a singhiozzo dell’Eurozona e del Giappone, la frenata dell’economia cinese e la conseguente discesa senza fine dei prezzi delle materie prime e del petrolio, che ha messo in affanno la gran parte dei mercati emergenti. Problemi che si trasferiscono all’interno nel momento in cui il superdollaro è già causa di per sé di minori esportazioni Usa, cui si aggiunge la minore domanda estera dovuta a fattori congiunturali.

In più, la Corporate America dovrà fare i conti nel 2016 con un costo del denaro in progressivo aumento. Non stupisce dunque che il tasso di crescita degli utili delle società quotate a Wall Street, motore del listino americano, sia sceso ancora nell’ultimo trimestre passando dal 10 all’8%, quarto calo consecutivo dopo il picco registrato nel settembre 2014, spingendo broker del calibro di Citi, Credit Suisse e JP Morgan a pronosticare una probabilità superiore al 50% di assistere a una recessione Usa nel prossimo biennio.

Da qui la titubanza di fondo nello spingersi oltre il triplo massimo segnato tra maggio e luglio a 2.134 dall’S&P500, mentre il Nasdaq deve prima fare i conti con il doppio massimo autunnale a 5.176, tracciato sul precedente record storico del 2000, per riaprire la strada del test con il record storico di luglio segnato a quota 5.232. In ogni caso il quadro tecnico di medio termine dell’S&P500 rimane indubbiamente rialzista fino a quando l’indice dimostrerà di non cedere l’importante sostegno tra 1.990 e 1.980 punti nei momenti di debolezza, al di sotto del quale l’indice delle 500 blue chip Usa verrebbe proiettato nuovamente verso il doppio minimo di fine estate segnato a quota 1.870, che accenderebbe il primo campanello di allarme sui listini internazionali. Il secondo allarme, più intenso, scatterebbe con il cedimento di 1.870, dal momento che una discesa sotto quota 1.810 (minimo dell’aprile e dell’ottobre 2014) disegnerebbe un’inversione al ribasso del trend di Wall Street di più ampio respiro.

Da qui nasce la prudenza nei confronti degli investimenti azionari che caratterizzerà il 2016, anche se gli anni elettorali sono stati storicamente favorevoli per il listino americano. La parola d’ordine è selettività. Vanno privilegiate le società che restituiscono i più alti flussi di dividendi e presentano un livello di indebitamento finanziario inferiore al patrimonio netto: un ausilio in questo senso può arrivare dagli Etf di iShares e Powershares quotati a Piazza Affari, che hanno come sottostante una selezione dei titoli dell’S&P500 caratterizzati dai dividend yield più elevati tra i quali vengono scelti quelli meno volatili (High yield - Low volatility).

domenica 17 gennaio 2016

Borsa protetta Arancio Febbraio 2016 conviene?

Mi conviene sottoscrivere Borsa protetta Arancio Febbraio 2016?

No. Il prodotto di Ing ti darà il 2,5 % lordo annuo se le Borse europee non perderanno, nei prossimi 12 mesi, più del 20 %. In caso contrario, riavrai indietro solo il 75 % del capitale investito. Ti abbiamo sconsigliato Borsa Protetta in passato – vedi ACF n° 1144 – e ribadiamo qui lo “sconsiglio”, tanto più che non ci aspettiamo un 2016 brillante per le Borse – vedi pagine 1 e 12 – e che un vincolato a 12 mesi ti renderà con certezza il 2 % lordo annuo. Investi altrove il tuo denaro.

venerdì 15 gennaio 2016

Previsioni Borse italiana ed europee 2016

È stato un anno a due facce quello appena trascorso. Dopo una prima parte vissuta all’insegna della propensione al rischio, è arrivata la doccia fredda. Prima la crisi della Grecia, poi in agosto lo scoppio della bolla azionaria cinese e, a settembre, lo scandalo sulle emissioni che ha coinvolto la Volkswagen. Infine la Fed il 16 dicembre ha alzato i tassi dello 0,25%, dando il via al ciclo rialzista dopo nove anni e riportando volatilità nelle borse perché ora ci si interroga sul ritmo degli aumenti da parte della banca centrale Usa. Per il 2016, quindi, dopo un 2015 che si è rivelato insidioso, l’atteggiamento dei gestori è improntato a una maggior cautela.

E su un punto tutti concordano: per i bond il trend ultra-decennale di crescita è al capolinea e ora è necessaria una maggiore esposizione alle azioni se si vuole ottenere qualche punto di rendimento in più visto che i tassi sono ai minimi in Europa, ma anche negli Usa, dove nonostante l’avvio del rialzo le previsioni indicano che resteranno bassi. Come afferma Gabriele Roghi, responsabile della consulenza di Invest Banca: «Tra le asset class la preferenza per l’azionario deriva da un processo di esclusione, più che da convinzioni basate sui fondamentali». Sulla stessa linea Patrick Moonen, senior strategist di NN Investment Partners: «Mentre gli investitori continuano a essere prudenti e i livelli di liquidità sono elevati, abbiamo variato il posizionamento dei nostri portafogli in funzione di una modesta assunzione del rischio». Fa eco Kurt Schappelwein, capo delle strategie multi asset di Raiffeisen Capital Management: «Nel 2016 vediamo la necessità di un’asset allocation flessibile. Nel complesso abbiamo un piccolo sovrappeso sulle azioni rispetto alle obbligazioni».

Quanto alle valutazioni delle borse, l’area che in generale appare più attraente è il Giappone; sugli altri listini, a partire dall’Europa, risulterà vincente la scelta dei titoli giusti. Come muoversi in questo scenario? MF-Milano Finanza lo ha chiesto a oltre 30 gestori delle principali società di investimento italiane ed estere. Dal sondaggio emerge che il 79% dei money manager si aspetta che la Bce amplierà la tipologia di bond acquistabili, taglierà ancora il tasso sui depositi già negativo o prenderà entrambe le misure. Mentre per il 43% la Fed farà nel 2016 tra i due e i tre rialzi dei tassi. Dopo l’avvio del ciclo rialzista negli Usa è entrata così nel vivo la divergenza tra politiche monetarie di Stati Uniti ed Europa. Non a caso il 54% prevede che il cambio euro/dollaro scenderà verso la parità. E sul fronte delle borse la grande favorita è l’Europa che raccoglie la quasi totalità dei consensi: per il 97% dei gestori è quella su cui puntare quest’anno.

Segue, con il 58% delle preferenze, il Giappone, altro Paese dove è in atto un potente Qe. Per il 76% la borsa giapponese raggiungerà nuovi massimi nel 2016. Mentre restando nel Far East, sulla Cina prevale la prudenza.

«Le politiche monetari divergenti tra Usa e Europa/Giappone dovrebbero favorire l’azionario europeo e giapponese, mentre l’azionario emergente rappresenterà una opportunità di acquisto quando le implicazioni del rialzo dei tassi negli Stati Uniti verranno comprese appieno dal mercato e la volatilità delle valute tornerà ai valori del 2014», afferma Marco Jean Aboav, di MoneyFarm. Riscuote pochi consensi Wall Street, che quest’anno è rimasta sui massimi. Ma ora con l’inizio del ciclo restrittivo, c’è maggior cautela. Inoltre le previsioni di crescita del pil per la zona euro indicano un’accelerazione maggiore degli Usa. Ad esempio Bofa Merrill Lynch prevede un pil della zona euro al +1,7% nel 2016, dopo il +1,5% per il 2015, mentre stima che il pil Usa salirà del 2,5% anche nel 2016. «La politica monetaria e gli utili sono driver fondamentali per gli investimenti, e pertanto privilegiamo le azioni di Eurozona e Giappone», segnala Moonen. Per Maria Paola Toschi, market strategist di JP Morgan Am, «l’area euro resta una delle aree preferibili grazie all’azione della Bce, ai bassi tassi, all’attenzione alle riforme, al basso prezzo del petrolio e alla ripresa dei consumi ». Il 70% dei gestori ritiene che il Ftse Mib italiano possa realizzare un rendimento fino al 10% nel 2016 e il 21% indica una performance oltre il 10%.

Per la borsa italiana «potrebbero esserci ancora condizioni per un miglioramento degli utili e per una performance superiore rispetto ad altri mercati europei », afferma Toschi. Sul fronte del petrolio, il 64% prevede che il prezzo del greggio recupererà da qui a fine 2016, «per l’aumento della domanda dei Paesi Ocse e la tenuta della domanda cinese », afferma Nicola Esposito di Tendercapital. Nel reddito fisso Christian Zima, gestore di Raiffeisen sottolinea che «la politica monetaria accomodante e una stabile crescita del pil rendono interessanti i bond high yield europei». Schappelwein promuove «le obbligazioni indicizzate all’inflazione che dovrebbero beneficiare della crescita delle attese di inflazione ». Ma restano molte incognite: il 58% del panel indica tra i principali rischi l’impatto sulle economie globali dell’aumento dei tassi Usa e nuove crisi negli emergenti.

Conclude con una nota ottimista Alessandro Picchioni, direttore investimenti di Woodpecker Capital «il 2016 sarà un anno molto positivo per i mercati azionari. Anche il timing sarà fondamentale dato che, nei primi tre mesi, ci attendiamo correzioni anche più del 10%. La causa sarà la Fed, che dimostrerà ancora incertezza nel primo trimestre del 2016, in attesa tra l’altro delle elezioni presidenziali. Andranno considerati i temi un po’ dimenticati, in primis l’energia e alcuni emergenti».

mercoledì 13 gennaio 2016

Come e dove investire in Cina nel 2016

Il nuovo corso economico cinese è una normalità che ha dello straordinario. Dopo anni di crescita a doppia cifra percentuale l’ipotesi che il pil del Dragone nel 2015 si fermi a un +7% fa notizia. In realtà il rallentamento è stato graduale e va avanti da tempo. Ma mai come nell’anno appena trascorso i timori sulla tenuta della seconda economia mondiale hanno influenzato i mercati globali, complici anche la presa di coscienza della dirigenza cinese, che ha esortato il mondo ad abituarsi alla «nuova normalità», e le perplessità in merito alla capacità del Partito Comunista di gestire al meglio la situazione (dubbi alimentati dal crollo delle borse locali avvenuto in estate e dalle operazioni di svalutazione dello yuan).

«C’è negatività sull’economia cinese », ha ammesso Stefano Chao di AZ Investment Management nel corso di un recente workshop sulle opportunità offerte dal 13° piano quinquennale (2015-2020). Nel medio e nel lungo termine, ha aggiunto, c’è però spazio per l’ottimismo. «Stiamo assistendo a un importante ribilanciamento dell’economia, con la transizione dall’industria pesante al terziario», ha segnalato Chao. E questo passaggio aiuterà la Cina a crescere nonostante il rallentamento dell’industria e avrà risvolti positivi sulla qualità della crescita, anche per quanto riguarda i risvolti ambientali. «Le riforme verso un modello economico più aperto al mercato sono sempre al centro dell’agenda del governo e ciò può costituire un motivo di ottimismo per gli investitori », fa eco Matthew Sutherland di Fidelity International. «Dopo un anno complesso per i mercati cinesi ci aspettiamo una maggiore stabilità dei listini nel 2016, grazie anche a una maggiore cautela negli scambi».

Superate le turbolenze estive, durante le quali la borsa di Shanghai perse il 43% dai massimi giugno, i listini della Cina continentale si sono calmati, sostenuti dall’intervento del governo e delle autorità di vigilanza. Nonostante i crolli, l’indice Composite di Shanghai ha chiuso comunque l’anno in rialzo del 10%. La brusca correzione è stata considerata in parte fisiologica dopo il rally del 50% realizzato tra la fine del 2014 e la prima metà dell’anno appena trascorso. Mesi nei quali il mercato azionario si è mosso in modo scollegato dall’andamento dell’economia reale, sostenuto anche dall’esortazione del governo a investire. Il popolo dei risparmiatori cinesi, oggi più numerosi degli 88 milioni di iscritti al Partito Comunista, si è quindi mosso senza badare troppo a rischi e fondamentali, confidando nell’eventuale salvagente di Pechino. E così è avvenuto. Secondo un’analisi di Goldman Sachs, Pechino ha speso almeno 1.500 miliardi di yuan (230 miliardi di dollari) per risollevare i listini agendo attraverso società di brokeraggio, fondi e aziende. Per la dirigenza cinese quanto avvenuto sugli indici di Shanghai e Shenzhen è stato comunque un danno di immagine.

La risposta della leadership è stata prima di tutto giudiziaria, con indagini e arresti tra gli attori finanziari. Le pecche emerse hanno inoltre spinto Pechino ad accelerare sulla riforma del proprio settore finanziario. «L’apertura del mercato nazionale delle azioni A-share permetterà un rafforzamento delle norme di governance per un maggior numero di imprese cinesi, un maggiore interesse da parte degli investitori e un peso più importante della Cina nel mercato azionario globale», ha spiegato Jasmine Kang di Comgest. PboC. Perno della nuova architettura è la People’s Bank of China. Nell’ultimo anno l’istituto centrale guidato da Zhou Xiaochuan si è conquistato un ruolo di primo piano. Il potere, va ricordato, è saldo nelle mani del presidente Xi Jinping, sotto la cui dirigenza sta venendo meno la gestione collegiale che ha contraddistinto gli anni di governo dei suoi predecessori.
La PboC a sua volta non è un’istituzione indipendente come la Fed o la Bce. Le decisioni sono di natura politica e rispondono agli input del Pcc. La politica monetaria cinese sta però iniziando a ripercuotersi sulle decisioni delle altre istituzioni. La svalutazione controllata dello yuan, decisa ad agosto, ha avuto un peso nel rinvio del rialzo dei tassi d’interesse da parte della Fed. La mossa di Pechino, che ora secondo gli analisti dovrà tenere sotto controllo il calo dello yuan e il rischio di fuga di capitali, è stata comunque salutata con favore dal Fondo Monetario Internazionale perché fa muovere la Cina verso una cambio più flessibile (a stretto giro c’è stato l’ok all’inclusione dello yuan tra i diritti speciali di prelievo dal prossimo ottobre). Con favore è visto anche l’alleggerimento monetario per stimolare l’economia. Da novembre 2014 la PboC ha tagliato per sei volte i tassi di interesse e ha ridotto il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche. L’opinione diffusa è che comunque saranno necessarie altre misure per evitare una frenata più marcata del ritmo di crescita.

L’eventualità è già messa in conto. «Un rallentamento dell’economia cinese che si traduca in una crescita del 6% non dovrebbe ripercuotersi in modo negativo; gli impatti sulla stabilita saranno mitigati dal sostegno fiscale e monetario del governo», commenta Viktor Nossek di WisdomTree Europe. Riforme. Per mantenere la crescita intorno al 6,5% annuo fino al 2020 sarà decisiva la capacità di portare a termine le riforme. Pechino sta mettendo mano alle grandi aziende pubbliche per migliorarne la competitività favorendo le aggregazioni. Il governo ha inoltre assunto una visione internazionale, in particolare con le iniziative sulla Via della Seta e con l’istituzione della Banca Asiatica per le Infrastrutture, che nelle intenzioni dovrebbe rappresentare un contraltare alla Banca Mondiale a trazione Usa.


Si intende inoltre ampliare l’assistenza sanitaria e previdenziale per i cittadini, così da liberare risorse per i consumi con ricadute anche sull’immobiliare. Il mercato residenziale, dicono infatti i dati di Real Estate Advisory Group, si sta consolidando, sebbene nelle città di seconda fascia la domanda sia ancora insufficiente. I volumi di investimento sono comunque in aumento (+45% nei primi nove mesi dell’anno). Corruzione. Intanto continua la campagna del governo contro il malaffare. Le indagini, come dimostra il fermo del fondatore del gruppo Fosun Guo Guangchang, si stanno indirizzando anche verso i privati, oltre che verso manager e funzionari pubblici. Alcuni imprenditori, come il fondatore di Alibaba Jack Ma, sono indicati come esempi virtuosi. Ma il caso Guo dimostra che nessuno in Cina può dirsi davvero al sicuro.

lunedì 11 gennaio 2016

Dove investire nel 2016 - tra btp e obbligazioni quali scegliere?

Se il 2015 ha dato le sue gatte da pelare agli investitori, il 2016 si presenta fin dall’inizio come una partita a scacchi: mentre l’anno scorso sono stati due shock esterni, ovvero il quasi-fallimento della Grecia e la bufera cinese che si è scatenata a metà agosto, a rendere più incerti i buoni risultati obbligazionari e a compromettere le promesse rialziste sfoggiate nel primo trimestre dai mercati azionari in scia al sospirato via libera del Quantitative easing nell’Eurozona, quest’anno la caccia al rendimento si profila dura fin dall’inizio.

L’avvio dell’anno scorso presentava infatti alcune importanti idee forti tramite le quali mettere a frutto gli investimenti: il Qe in veste europea che era nell’aria fin dalle ultime battute del 2014, e poi annunciato dalla Bce a metà gennaio, offriva l’opportunità di cavalcare sia l’attesa debolezza della moneta unica attraverso impieghi monetari e in bond denominati nelle valute in odore di sensibile rafforzamento (dollaro in testa, ma anche sterlina), sia i titoli di Stato a media e lunga scadenza dell’Eurozona oggetto del Qe (Btp in primis), sia i listini azionari dell’euro, spinti dalle banche (beneficiarie dell’apprezzamento dei bond e del restringimento degli spread con la Germania) e dai titoli industriali favoriti dalla debolezza della moneta unica. Il 2016, al contrario, non lascia intravedere alcuna idea base di partenza: l’ultimo mese del 2015 si è infatti concluso con una mezza delusione proveniente dalla Banca centrale europea, dove l’asse tedesco ha negato il via libera a un aumento degli acquisti mensili di bond nell’ambito del programma di quantitative easing esteso fino a marzo 2017, mentre la Federal Reserve ha dato il via al primo giro di vite ai tassi dopo sette anni di costo del denaro a zero, sciogliendo in apparenza la prognosi riservata all’economia Usa.

In realtà rimangono sul tappeto gli stessi problemi, casomai lievitati, che a settembre 2015 avevano indotto il board della Fed a rimandare la strada intrapresa poi a dicembre: sul fronte esterno è infatti proseguito il prolungato rallentamento dell’economia cinese, alle prese con il tentativo di svincolarsi dalla dipendenza delle esportazioni per camminare di più sulle gambe della domanda interna, e conseguentemente l’affanno che caratterizza i prezzi di numerose materie prime (tra cui il petrolio) con pesanti ripercussioni sui Paesi produttori, tra cui figurano importanti economie emergenti le cui valute si trovano sotto pressione dal secondo semestre dello scorso anno.

L’impatto tanto sull’inflazione, che fatica a riprendere quota con il prezzo del petrolio sui minimi del 2009, quanto sull’export è evidente per l’Europa e ancora di più per gli Usa, dove la forza del dollaro rende più costose le esportazioni: la Corporate America sta infatti facendo i conti con il rallentamento del tasso di crescita degli utili aziendali che, dopo aver raggiunto il picco nel settembre 2014, sta evidenziando da quattro trimestri una perdita di momentum che preoccupa gli operatori. In alcuni casi la preoccupazione è tale da attribuire una probabilità superiore al 50% di vedere l’economia americana in recessione nel giro dei prossimo biennio, leggendo alcuni studi di operatori del calibro di Citi, JP Morgan e Credit Suisse sulle statistiche storiche dell’andamento del tasso di crescita degli utili aziendali. Molto dipenderà dalla velocità di esecuzione dei prossimi rincari al costo del denaro Usa, che la Fed ha sempre visto come molto graduali, e non necessariamente in misura pari allo 0,25% ciascuno, mentre i mercati li vedono più frequenti: la media si posiziona almeno su altri tre rialzi, se non quattro, da 25 centesimi nel corso 2016 a partire al più tardi dal meeting di marzo, ma le presidenziali di novembre e i problemi sul tappeto, assieme a un nuovo sensibile rafforzamento del dollaro che risulterebbe eccessivamente penalizzante per le esportazioni americane, suggeriscono la possibilità di assistere al massimo a due rincari da un quarto di punto, soprattutto se dall’asse tedesco arriverà il via libera, com’è probabile tra qualche mese in assenza di risveglio dell’inflazione, a un incremento degli acquisti mensili di bond nell’ambito del programma di Quantitative easing varato nel marzo 2015 dalla Bce.

In quest’ottica, la ragione più concreta, o almeno coesistente con altre più tradizionali, per cui la Banca centrale americana avrebbe intrapreso la strada del rialzo dei tassi si ritrova nel creare il margine di manovra necessario affinché la politica monetaria sia rimessa in grado di affrontare, tramite un nuovo percorso di riduzione del costo denaro, un’eventuale ricaduta del pil nei trimestri a venire. Altrimenti, con i tassi già vicini allo zero e un debito pubblico superiore al 100% del pil, gli Stati Uniti non avrebbero a disposizione alcuno strumento di politica economica per attenuare una possibile frenata congiunturale, tenendo anche conto che il bilancio della Banca centrale Usa è ancora gonfio di tutti i dollari stampati e messi in circolazione nell’ambito delle tre ondate di Quantitative easing varate dal 2009. In realtà mancano proprio i bersagli da inquadrare: il Qe annunciato dalla Bce nel gennaio 2015 ha spinto le quotazioni dei titoli di Stato dell’Eurozona sui massimi, comprimendone i ritorni a minimi termini, tant’è che i rendimenti dei bond tedeschi sono negativi fino alla scadenza di 5 anni; allungando la scadenza, il decennale della Germania restituisce un misero 0,65% che si alza all’1,6% per il Btp a 10 anni.

Scontando già nei prezzi un programma di Qe protratto fino a marzo 2017, annunciato dell’Eurotower nell’ultimo meeting di dicembre, risulta quindi difficile ipotizzare un nuovo volo dei corsi dei bond capace di rimpolpare in conto capitale i bassi ritorni offerti dalle cedole: nello scenario più ottimistico, che abbraccia l’ipotesi di un incremento degli acquisti mensili di bond effettuati dalla Bce nell’ambito del Qe in atto, si può sperare in un’ulteriore riduzione dello spread Btp-Bund verso il livello storico compreso tra 60 e 75 centesimi, area relativa alla seconda parte del 2009 riferita ai mesi immediatamente precedenti al primo shock proveniente a sorpresa dalla Grecia, che si tradurrebbe in nuovo passo in avanti dei corsi del decennale italiano in grado di portare verso un più corposo 3,5-4% il relativo total return del 2016 (guadagno in conto capitale più guadagno in conto interessi).

Al di fuori di questo scenario positivo, che comunque non raggiunge il total return vicino al 7% restituito dal Btp decennale nel 2015, non si riscontrano altre mete obbligazionarie sufficientemente appetibili nell’area euro: i prezzi dei corporate bond di tipo investment grade non sono certo a buon mercato, offrendo ritorni anche in questo caso poco consistenti che in alcuni casi non coprono nemmeno il maggior grado di rischiosità dell’investimento rispetto ai titoli di Stato. Tant’è che più di una voce segnala un’eccessiva sottovalutazione del rischio da parte dei mercati. Un primo riscontro in questo senso arriva dai corporate bond Usa di tipo high-yield, ovvero speculative grade, che in dicembre hanno vissuto un generale deprezzamento in scia al blocco temporaneo dei riscatti del fondo americano Third Avenue dedicato a questa categoria di obbligazioni ad alto rendimento, sottolineando che già la debole liquidità del mercato dei corporate bond rappresenta di per sé un fattore di rischio aggiuntivo, cui va aggiunta la dose di rischio in capo all’emittente, o credit risk, che risulta appunta sottovalutata ai prezzi attuali.

L’importanza di questo fattore di rischio è ben riconosciuta dalle Authority occidentali, che stanno stringendo le maglie normative sulla liquidità dopo la crisi del 2008: proprio la Sec americana, che è molto preoccupata per la liquidità dei fondi, ha proposto regole che mettono sotto pressione i gestori di fondi sul fronte della trasparenza delle posizioni di portafoglio e sul numero di giorni che occorrono per convertirle in liquidità. In base alle nuove norme, che sono attualmente in consultazione, i gestori dei fondi domiciliati negli Usa sono chiamati a classificare i propri comparti in base al numero di giorni necessari a convertire i propri asset in cash; ai money manager è anche richiesto di detenere un ammontare minimo di titoli che può essere liquidato in tre giorni senza che questo influenzi il prezzo. Il deprezzamento dei bond high- yield Usa si è riflesso, in modo più attenuato, sulle obbligazioni speculative grade dell’area euro, meno esposte ai pesanti scivoloni delle cugine americane grazie a un tasso di insolvenza più basso e a un maggiore stato di liquidità (il bid/ask spread supera comunque l’1%), che smussano solo in parte la rischiosità fisiologicamente elevata dell’investimento suggerendo di non spingersi oltre i tre anni di scadenza.

giovedì 7 gennaio 2016

Fallimento banche - dove investire per star sicuro

Se la mia banca fallisce è vero che rischieranno di perdere tutto anche correntisti e obbligazionisti senior? I depositanti saranno tutelati fino a 100 mila euro, mentre tutti gli altri creditori verranno coinvolti nella copertura delle perdite. Questo avverrà secondo una precisa gerarchia di intervento: azionisti, obbligazionisti junior, obbligazionisti senior e titolari di depositi oltre la soglia dei 100 mila euro.

La legge tutela i conti correnti fino a 100 mila euro? Cosa comprende la tutela? Solo la liquidità parcheggiata? E i conti deposito? La tutela per i conti correnti, già prevista nel nostro ordinamento e confermata dalle nuove regole Ue, è di 100 mila euro per depositante. Sopra questo tetto non c’è certezza che i depositi siano rimborsabili in caso di bail-in. Tuttavia la tutela è riferita al depositante e non al conto, perciò se il conto è cointestato la copertura è di 100 mila euro per ciascun titolare. La tutela comprende sia i conti correnti che i depositi, compresi quelli in cui la liquidità è vincolata, ma anche gli assegni circolari e i certificati di deposito nominativi ma non quelli al portatore.

Se la mia banca fallisce e ho investito in titoli di Stato, finiscono anche questi nel calderone o sono salvi? I titoli di Stato sono strumenti finanziari, e come tali non sono assimilabili ai conti correnti o ai depositi. Per questo non godono già oggi e non godranno, con le nuove norme europee sul bail-in della tutela del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Tuttavia non essendo i titoli di Stato crediti nei confronti dell’istituto potenzialmente soggetto a procedura di risoluzione, non saranno aggredibili e il loro valore non sarà intaccato anche in caso di default della banca.

Cosa succede se ho più conti nella stessa banca? La garanzia è per depositante e per banca, a prescindere dal numero di conti presso lo stesso istituto. Per calcolare il livello di copertura di 100 mila euro si cumulano i depositi dei vari conti intestati alla stessa persona. Per esempio, se un depositante ha tre conti presso una sola banca, uno di 10 mila euro, uno di 100 mila euro e uno di 50 mila euro, il saldo è 160 mila ma il depositante sarà rimborsato per 100 mila.

In Italia quali banche hanno la garanzia sui depositi? Tutte le banche italiane devono aderire al Fitd e dunque i depositanti di questi istituti godono della medesima tutela.

Se metto i risparmi in una banca straniera attiva in Italia, che copertura avrò? Se la banca aderisce al Fitd, la garanzia offerta sarà la stessa delle banche italiane. Se non aderisce, la garanzia sarà quella offerta dallo schema di assicurazione dei depositi del Paese di origine della banca.

Se la mia banca viene liquidata, cosa devo fare per riavere i miei soldi? Non è necessaria alcuna specifica richiesta di rimborso. Il Fondo di tutela subentra nei diritti dei depositanti e contatta e rimborsa direttamente ciascun correntista. Quanto occorre, se la banca fallisce, per riavere i 100 mila euro tutelati? Il rimborso è effettuato entro 20 giorni lavorativi dalla data in cui si producono gli effetti della liquidazione coatta. Il termine può essere prorogato dalla Banca d’Italia, in circostanze del tutto eccezionali, per un periodo complessivo non superiore a dieci giorni lavorativi.

 La garanzia sui depositi è valida anche per le banche online? Sì, se si tratta di un prodotto offerto da una delle banche aderenti al Fondo di tutela.

Sono garantiti i depositi in oro? No, l’oro è un deposito fisico, e il Fondo di tutela protegge solo quelli in denaro. Ma non è necessario proteggere i depositi in oro. Se una banca fallisce l’oro, come tutto quanto fisicamente depositato, va restituito al legittimo proprietario perché tali beni non rientrano nel processo di liquidazione, e sono riconsegnati ai proprietari.

Ci sono altre banche italiane in amministrazione straordinaria? Ecco l’elenco completo fornito dalla Banca d’Italia: Istituto per il Credito Sportivo, Bcc Irpina, Banca Padovana di credito cooperativo, Cassa Rurale di Folgaria, Banca Popolare delle Province Calabre, Banca di Cascina Credito Cooperativo, Bcc Banca Brutia e Bcc di Terra D’Otranto. Si tratta di piccoli intermediari con al massimo qualche decina di sportelli. L’istituto di dimensioni maggiori è la Banca Padovana di Credito Cooperativo, che conta 28 filiali, mentre la Bcc Irpina ne conta nove.

 Ho in portafoglio bond subordinati Ubi, Banco Popolare e Intesa Sanpaolo. Di recente le loro quotazioni sono scese. Devo preoccuparmi? Va valutata la solidità della banca emittente cui il risparmiatore ha prestato il suo denaro. Qui si parla di tre istituti vigilati dalla Bce che hanno superato i test di solidità cui sono stati sottoposti. Inoltre va verificato il livello di subordinazione dei bond ed eventuali vincoli sulla cedola (alcuni bond subordinati non la pagano se la banca chiude i conti in rosso). Infine, occorre capire quanto l’investitore sia disposto a perdere e se quel prodotto rientra nel profilo di rischio Mifid. Azioni non della banca e Btp nel deposito titoli sono a rischio? No. Il bail-in riguarda solo le banche in difficoltà.

Con le indagini in corso su Banca Etruria, c’è possibilità di riavere una minima parte dalle azioni perse? In teoria sì. Si tratta di fare azioni risarcitorie contro gli ex amministratori. Ma tali azioni durano molto e il risultato è incerto. Bisogna sperare in transazioni favorevoli, ma è una strada lunga e difficile.

Ci sono problemi se fallisce la banca di cui posseggo assegni circolari? No, sugli assegni circolari non ci dovrebbero essere problemi Se ci dovesse essere un utile dalla riscossioni dei crediti deteriorati potrebbe servire per risarcire gli obbligazionisti? Sì, potrebbero essere risarciti anche gli obbligazionisti. Il problema vero è che non si sa quanto possa essere recuperato da questi crediti inesigibili

lunedì 4 gennaio 2016

Polizza CNP UNICREDIT VITA – MY SELECTION conviene?

CARATTERISTICHE GENERALI


Emittente CNP Unicredit Vita Spa Prodotto My Selection Prodotto finanziario assicurativo di tipo unit linked. Il contratto prevede l’investimento in quote di OICR tra quelli resi disponibili dalla Compagnia, non sottoscrivibili singolarmente ma mediante combinazioni degli stessi. L’investitore sceglie, sulla base della propria propensione al rischio e delle proprie aspettative di rendimento, di investire il premio versato al netto dei caricamenti: - in una delle proposte di investimento illustrate di seguito o - in un’altra combinazione di OICR, diversa da quelle illustrate, da lui determinata. In ciascuna combinazione libera possono essere utilizzati contemporaneamente fino ad un massimo di 10 OICR tra quelli previsti dal contratto. Il contratto consente di investire al massimo il 25% del premio iniziale, al netto del caricamento, in un singolo OICR; il contratto prevede, altresì, per ciascun eventuale versamento aggiuntivo, un limite massimo di versamento di 20.000 euro in un singolo OICR. In relazione a ciascun versamento, l’importo minimo destinabile a ciascun OICR prescelto è pari a 1.000 euro. Durata Vita intera Premio Minimo Premio unico minimo pari a 30.000€. E’ prevista possibilità versamenti aggiuntivi minimi pari a 5.000€.

FONDI Prestazioni legate ai Fondi Prestazioni legate al rendimento degli OICR sottoscritti, tra i 42 disponibili. OPZIONI E BONUS Opzioni Trascorsi almeno 3 anni: Rendita vitalizia Rendita vitalizia pagabile in modo certo per 5 o 10 anni e quindi vitalizia Rendita reversibile Bonus Non previsti
GARANZIE ASSICURATIVE Caso Morte In caso di decesso dell’assicurato è prevista la liquidazione di un capitale pari alla somma del controvalore complessivo delle quote del Fondo Interno e della Gestione Separata, incrementato di un importo variabile (non superiore a 75.000€) in funzione dell’età dell’assicurato: Età da 18 anni a 39 anni: incremento 20,00% Età da 40 anni a 54 anni: incremento 8,00% Età da 55 anni a 64 anni: incremento 4,00% Età da 64 anni: incremento 0,40% RISCATTO E SWITCH Riscatto Totale Possibile trascorso almeno 1 mese Valore Riscatto Totale Capitale assicurato rivalutato, al netto dei costi di riscatto Riscatto Parziale Possibile trascorso almeno 1 anno, purché importo riscattato non inferiore a 1.500€ e importo residuo non inferiore a 2.500€. Valore riscatto parziale Come per riscatto totale, più un costo fisso Switch Possibile trascorsi 30 giorni dalla sottoscrizione

COSTI 

Caricamento sul Premio 2,50% fino a 99.999,99€ di Premi Versati 2,00% da 100.000 a 499.999,99€ di Premi Versati 1,50% da 500.000€ di Premi Versati Costi amministrativi emissione 50€ Costi di gestione 1,75% annuo Costi di gestione OICR E’ prevista una commissione di gestione su ciascun OICR, variabile in funzione degli OICR stessi. Costi performance Su alcuni OICR potrebbero esserci dei costi di performance Costi per switch 20€ per ciascun switch successivo ai primi due Costi per Riscatto Funzione degli anni interamente trascorsi: - Meno di un anno: 3,80% - 1 anno: 3,00% - 2 anni: 2,20% - 3 anni: 1,30% - 4 anni: 0,50% - Da 5 anni: nessuna penale In caso di riscatto parziale è previsto un costo fisso supplementare di 20€

Se vuoi una polizza vita ti consigliamo queste polizze sottoscrivibili online e per questo meno costose (oltre che affidabili essendo del gruppo Generali):