domenica 3 febbraio 2019

Fuga dall'Italia e dai Btp?

Nel 2018 ci sono stati dei rilevanti movimenti di capitale da e verso l’estero. I dati aggiornati della bilancia dei pagamenti italiana permettono di identificare la tipologia di transazioni sottostanti ai movimenti di capitale e avere un quadro più chiaro dei fenomeni in atto. Il trend più evidente riguarda i titoli governativi italiani detenuti da soggetti esteri.


Dopo una crescita rilevante degli stock fino a +40 miliardi di euro ad aprile 2018, gli investitori esteri hanno avviato un rapido sell-off di titoli che ha accelerato ad agosto, in corrispondenza con le prime tensioni tra Commissione europea e governo sulla manovra finanziaria per il 2019. A fine novembre gli investitori esteri detenevano circa 35 miliardi di BTp in meno rispetto a gennaio, con un calo di 75 miliardi dai massimi di aprile.

Ovviamente, questa vendita massiva ha avuto un impatto evidente sullo spread tra titoli italiani e tedeschi, che aveva raggiunto un minimo proprio ad aprile. La riduzione dell’esposizione estera sul debito pubblico è stata però compensata (+35 miliardi) da una crescita degli investimenti esteri nel settore privato, esplosa a giugno 2018 quando – plausibilmente – un significativo calo delle quotazioni sui mercati ha reso l’investimento azionario in Italia più appetibile.

L’aumento si è poi gradualmente livellato fino a registrare una piccola riduzione dal picco dell’ottobre scorso. Nel complesso, i proventi finanziari della vendita di BTp non hanno lasciato il Paese, ma c’è stato uno shift dei capitali dal settore pubblico a quello privato. Il surplus di parte corrente e del conto capitale dell’Italia ha contribuito a fare affluire capitali anche nel 2018 per 40 miliardi (si vedano le barre arancioni), un risultato favorito dall’indebolimento (-8,6%) dell’euro sul dollaro. Si tratta comunque di un risultato ragguardevole se si considera che la seconda metà dell’anno è stata caratterizzata da un rallentamento progressivo dell’economia globale.

Lato banche si registrano minime variazioni per quanto riguarda l’esposizione debitoria verso l’estero sul mercato interbancario (barre verdi). Al contrario, le banche italiane hanno accresciuto il loro stock di attività finanziarie estere per 28 miliardi seguendo un trend avviato nel 2017 e che ha accelerato nel corso del 2018. Infine, il settore privato non finanziario ha continuato ad investire massicciamente all’estero. Altri 44 miliardi  sono defluiti per acquistare azioni, obbligazioni e fondi di investimento con residenza legale in Lussemburgo, Olanda e Germania.

Certamente, una parte di questi fondi (secondo alcune stime il 20%) può essere ricondotto nei fatti ad entità italiane (i cosiddetti fondi “round trip”). A partire dal 2014 lo stock di attività finanziarie estere detenuto dagli italiani è cresciuto di 370 miliardi. Il crollo dei tassi di interesse nell’Eurozona e la crescita del differenziale con altre aree valutarie sono i primi fattori esplicativi di questo fenomeno, che riguarda non solo l’Italia, ma anche la Spagna e la Germania e, in misura parziale, la Francia. Il Quantitative Easing della Banca centrale europea ha poi agevolato il processo di “diversificazione degli attivi”, fornendo agli investitori privati condizioni molto favorevoli per disinvestire dai titoli pubblici e far migrare i propri capitali altrove.

Con la “chiusura dei rubinetti” da parte della Bce ed un rialzo progressivo dei tassi di interesse è verosimile che la migrazione dei capitali privati rallenti. Sempre se non ci siano altri motivi che spingono gli italiani ad investire all'estero.
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