La pandemia non è finita. E le famiglie italiane, nell’incertezza, si stanno rifugiando ancor più del solito nei conti correnti. I dati pubblicati dall’Abi parlano chiaro: ad agosto la liquidità lasciata su conti, depositi con durata prestabilita e pronti contro termine, ha raggiunto l’imponente cifra di 1.672,86 miliardi, con una crescita del7%rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (1.562,71 miliardi). Una scelta sensata visto l’attuale contesto di crisi, ma poco efficiente se si prova a guardare al futuro. Sì, perché i risparmi, se immobilizzati in strumenti infruttiferi (come i conti correnti), tendono a perdere valore nel tempo, in modo costante, solo per effetto dell’inflazione.
Per fare un esempio, considerando la media degli ultimi 20 anni dell’indice dei prezzi al consumo, pari all’1,7%, 10 mila euro depositati nel 2000 su un conto corrente oggi varrebbero 7.138 euro, quindi circa il 30% in meno (2.862 euro in termini assoluti). Se poi si guarda anche all’incidenza dei crescenti costi delle banche, che oggi per una famiglia con uso medio si attestano a 146 euro l’anno contro i 94 del 2010 (con l’online si può arrivare a risparmiare fino all’85%), il danno economico diventa ancora più evidente. Ipotizzando un costo medio del conto di 100 euro l’anno, oggi ci si ritroverebbe con una giacenza di 5.426 euro (-45,74%). A questo si aggiunge poi il mancato guadagno per non aver investito i propri risparmi: negli ultimi 20 anni, azioni e obbligazioni hanno offerto un rendimento reale (al netto dell’inflazione) annualizzato rispettivamente del 5,20% e 2 per cento.
Tornando ai dati pubblicati da Abi, emerge chiaro l’effetto Covid. In febbraio, la liquidità in banca è aumentata di 21 miliardi, mentre nei mesi del lockdown tra marzo e maggio, l’incremento è stato di 55,39 miliardi. A giugno, invece, il calo della curva epidemica ha riportato un po’ di fiducia sul mercato e il saldo delle giacenze dei depositi bancari è sceso. Malo spettro di una seconda ondata ha riacceso le paure delle famiglie, che tra luglio e agosto hanno riversato nei conti correnti altri 37,16 miliardi. In sette mesi di coronavirus, quindi, il totale delle disponibilità liquide negli istituti di credito è aumentato di 109,69 miliardi, portando il saldo alla cifra record di 1.672,86 miliardi.
Ogni lasciata è persa Ma lasciare i propri risparmi fermi sul conto corrente equivale a perdere una bella fetta dei rendimenti offerti dai mercati. Che nel lungo periodo pagano sempre. Commenta Raffaele Zenti, co-fondatore di AdviseOnly: «Dal 1900 al 2019, le azioni hanno offerto un ritorno annualizzato del 3,10% e le obbligazioni del 4,80%. Un portafoglio bilanciato (50%-50%), invece, ha reso il 3,95% l’anno. E stiamo parlando di rendimenti reali, quindi al netto dell’inflazione». Anche negli ultimi 20 anni, ovvero a partire dal 2000, le performance sono state molto interessanti, nonostante il susseguirsi di numerosi choc (dalla bolla speculativa delle dot-com alla crisi dei mutui subprime, fino ad arrivare al coronavirus): 5,20% per l’equity e 2% per i bond.
«Dal fallimento di Lehman nel 2008, i mercati non hanno mai smesso di salire—argomenta Zenti —. È stato un crescendo, e forse anche per questo i risparmiatori sono timorosi. Lasciare i soldi sul conto corrente, però, non è una scelta vincente. Il consiglio che posso dare è farsi bene i conti in tasca, così da individuare la giusta riserva di liquidità da immobilizzare in banca. Il resto va investito coerentemente con il proprio profilo, in asset ben diversificati e mantenendo un orizzonte temporale di lungo periodo». Se proprio non si vuole sentire parlare di rischio si può sempre guardare a quei prodotti che riescono a compensare la perdita di potere di acquisto in quest’epoca di tassi a zero. Come i conti di deposito che, su vincoli a 5 anni, arrivano a offrire fino al 2,5% lordo annuo (Rendimax di Banca Ifis). L’importante è non abbandonare i risparmi a loro stessi. Il conto da pagare potrebbe essere molto salato.
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