venerdì 24 febbraio 2017

Buoni postali Poste serie P/O del 1986

Devo incassare un Buono postale fruttifero (Bpf) serie P/O emesso il 28 maggio 1986 per 500mila lire. Sul retro del buono è presente una griglia di importi con righe (per gli anni) e colonne (per i bimestri) e una scala di tassi. Con riferimento alla scala di tassi, faccio presente che a quella prestampata (graduata in base alla durata) se ne sovrappone un’altra con timbro postale (pure graduata in base alla durata ma con percentuali diverse). La griglia prestampata si sviluppa nel seguente modo: si va dal 9% del primo anno all’11% per il periodo che va dal sedicesimo al ventesimo anno. Mentre le percentuali apposte con timbro postale al momento dell’emissione sono le seguenti: 9% nel primo anno, 15% dal sedicesimo al ventesimo.
L’Ufficio Postale mi vuole rimborsare 3.916,69 euro, mentre da calcoli effettuati considerando le percentuali sovrapposte (cioè quelle apposte con timbro postale all’atto dell’ emissione) risulta l’importo di 4.620,48 euro. Qual è la cifra corretta? Se l’importo corretto è il secondo come posso far valere le mie ragioni? Il foglietto utilizzato dall’agenzia postale appartiene alla serie N la cui decorrenza iniziata il 1 luglio 1976 era cessata il 31 agosto 1981. Una serie quindi alquanto datata nel 1986, considerando pure che era stata sostituita dalla serie O a partire dal 1 settembre 1981 e fino al 30 giugno 1984. Dal successivo primo luglio era entrata in vigore la serie P effettivamente sottoscritta dal lettore. Da qui il timbro che appunto adeguava le condizioni economiche alla serie in quel momento in vigore. «Fin qui tutto bene, se non fosse che due settimane dopo fu varato l’ormai celebre decreto ministeriale 13 giugno 1986», spiega Giuseppe D’Orta dell’Aduc.

«Sin dal 1986 si elevarono proteste, poiché la nuova serie Q prevedeva il pagamento di interessi inferiori rispetto alle precedenti, ma tutti i tentativi nel tempo effettuati si sono risolti in un nulla di fatto. Perfino la Corte Costituzionale fu interessata e, con sentenza 333 del 2003, ha sancito la legittimità costituzionale di quel provvedimento». «Negli ultimi tre anni vi sono stati provvedimenti in Tribunale a favore dei clienti ma in appello la situazione si ribalta con pronunciamenti sempre contrari. Basti considerare che nel marzo 2016 il tribunale di Savona ha accolto tutti i ricorsi di Poste Italiane avverso le sentenze del giudice di pace Andrea Grammatico del settembre precedente. Anche il tribunale di Ferrara ha seguito la stessa linea», conclude D’Orta.

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