venerdì 20 dicembre 2019

Dal 2020 estesa l'ivafe sui conti all'estero

Estesa l’Ivafe agli enti non commerciali. Il disegno di legge di Bilancio 2020 licenziata dal Senato e attualmente in fase di approvazione alla Camera contiene l’annunciata estensione dell’Ivie (imposta sul valore degli immobili situati all’estero) e dell’Ivafe (imposta sul valore dei prodotti finanziari detenuti all’estero), oltre alle persone fisiche, anche agli enti non commerciali ed alle società semplici residenti in Italia.

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Nello specifico, l’art. 1, comma 710 del disegno di legge modifica l’ambito soggettivo delle imposte, espressamente rimandando ai soggetti indicati all’art. 4, comma 1, del dl 167/1990, ovvero ai soggetti tenuti ad assolvere gli obblighi di monitoraggio fiscale per gli attivi detenuti all’estero ed introducendo anche un richiamo al concetto di «titolare effettivo» degli attivi esteri anche ai fini dell’imposizione patrimoniale, determinando quindi una naturale estensione a tale comparto impositivo delle complessità interpretative riscontrate in materia di monitoraggio (ad esempio in relazione ai beneficiari residenti di trust opachi esteri, che, come riportato dalla dottrina, possono essere considerati «non individuati» ai fini reddituali e ai fini della disciplina del monitoraggio).

Si nota peraltro che nella scheda di lettura del dossier del Senato del 17 dicembre, a commento della nuova norma, vengono indicati come futuri soggetti passivi delle imposte patrimoniali «oltre alle persone fisiche, anche gli enti non commerciali e le società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice».

Con specifico riferimento all’Ivafe - che in linea generale rappresenta la declinazione dell’imposizione patrimoniale sulle attività finanziarie estere, incardinata sull’imposta di bollo sulle attività finanziarie ex dpr n. 642/1972 - la nuova norma stimola una prima riflessione in termini di compatibilità con i principi europei. Infatti, in ambito puramente domestico, l’imposta di bollo sulle attività finanziarie gestite da intermediari residenti è dovuta nella misura massima di euro 14 mila ove il soggetto passivo dell’imposta sia un ente non commerciale ovvero una società semplice (rectius un «soggetto diverso da persona fisica»; Tariffa Parte I, art. 13, nota 3-ter, allegata al dl 642/1972). Di converso, la nuova norma non prevede alcun limite massimo nell’applicazione dell’Ivafe che sarà potenzialmente dovuta da tali soggetti in relazione alle attività finanziarie detenute all’estero.

A una prima lettura, la nuova applicazione dell’Ivafe priva della limitazione ad euro 14 mila appare idonea a dissuadere gli enti non commerciali e società semplici residenti in Italia dal compiere investimenti in altri Stati, sia membri dell’Ue che terzi, in quanto il possibile esborso dell’imposta patrimoniale potrebbe eccedere il limite massimo previsto nel caso in cui gli investimenti finanziari siano effettuati in Italia o detenuti tramite intermediari residenti. In linea con il costante orientamento della giurisprudenza europea, tale restrizione appare contraria alla libertà di movimento dei capitali (tutelata dall’art. 63, comma 1, TfUe, e valida anche nei rapporti con Stati terzi), ragionevolmente applicabile in quanto l’Ivafe trova applicazione senza soglie quantitative dell’investimento estero (Cause C-190/12, C-338/11, C-375/12, C-685/16).

Al riguardo, non sono ravvisabili giustificazioni in linea con la rule of reason tipizzata dalla Corte di Giustizia Europea (se non evidenti esigenze di gettito, cfr. Causa C-322/11). Peraltro, il fatto che l’Ivafe sia stata introdotta solo nel 2011 e che l’estensione sia prevista da una Legge del 2019 elimina in radice qualsiasi considerazione in tema di clausola di «standstill» (art. 64, TfUe; cfr. causa C-464/14 e C-317/15). Ove confermata al termine dell’iter legislativo, la nuova disposizione troverà applicazione dal 2020, come previsto dall’art. 1, comma 711 della bozza di legge.

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