sabato 10 agosto 2019

Come dichiarare al fisco i bitcoin e le criptovalute

tassazione bitcoin
Tra le attività di natura finanziaria detenute all’estero oggetto di indicazione nel quadro RW della dichiarazione dei redditi sono comprese anche le valute virtuali, in quanto assimilate, dall’amministrazione finanziaria, alle «valute estere» (interpello n. 956 -39/2018). Il valore delle valute virtuali non è però soggetto a Ivafe (l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero) perché i borsellini elettronici (wallet) in cui sono custodite non sono, sul piano giuridico, né depositi né conti correnti bancari, né rappresentano un credito del titolare della valuta virtuale nei confronti del fornitore dei servizi funzionali alla conservazione delle valute stesse (il cosiddetto wallet provider).
Pertanto, nel quadro RW è previsto che sia barrata la casella 20 per segnalare che l’importo è rilevante ai soli fini del monitoraggio e non anche dell’Ivafe. La definizione di criptovaluta La «valuta virtuale» è definita (dall’articolo 1, comma 2, lettera qq) del decreto legislativo 231 del 2007) come «la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente». Può quindi essere utilizzata come mezzo di pagamento, ma non ha i connotati delle valute a corso legale.

La definizione dettata dalla norma nazionale corrisponde a quella che è stata fornita dalla Financial Action Task Force (Fatf) nel documento «Virtual Currencies. Key Definition and Potential AML/CFT Risks» del giugno 2014 e dell’European Banking Authority (Eba), «Opinion on “virtual currencies”» del luglio 2014. L’utilizzo per i pagamenti Come è stato evidenziato nella risoluzione 72/E del 2016, la circolazione delle valute virtuali o «criptovalute» quale mezzo di pagamento si fonda sull’accettazione volontaria da parte degli operatori del mercato che, sulla base della fiducia, la ricevono come corrispettivo nello scambio di beni e servizi, riconoscendone, quindi, il valore di scambio indipendentemente da un obbligo di legge.

Si tratta, pertanto, di un sistema di pagamento decentralizzato, che utilizza una rete di soggetti paritari (peer to peer) e che non è soggetto ad alcuna disciplina regolamentare specifica né a una autorità centrale che ne governa la stabilità nella circolazione. Assimilazione determinante Nella già ricordata risoluzione 72/E del 2016, l’agenzia delle Entrate ha affermato che le «criptovalute» sono utilizzate come “moneta” alternativa a quella tradizionale avente corso legale emessa da una autorità monetaria.

L’Agenzia ha quindi ritenuto che si debba estendere alle criptovalute il regime fiscale delle valute estere che - per i soggetti non imprenditori - è contenuto nell’articolo 67, comma 1, lettera c ter) e nel successivo comma 1-ter del Testo unico delle imposte sui redditi, il Dpr 917/1986. Pertanto, le cessioni di criptovalute, la loro conversione in altre valute o criptovalute e il loro impiego per acquisti generano plusvalenze o minusvalenze causate dalla differenza fra il cambio dell’operazione e quello d’acquisto. Il cambio dell’operazione si determina facilmente in caso di conversione della criptovaluta in euro o viceversa; se invece la criptovaluta viene convertita in altra valuta o criptovaluta, il corrispettivo è dato dall’ammontare della valuta ricevuta convertito in euro al cambio del giorno dell’operazione.

Per il calcolo del cambio d’acquisto si utilizza il metodo cosiddetto del Lifo continuo (Last In First Out, si vedano le indicazioni fornite nella pagina successiva). L’articolo 68, comma 6 del Testo unico delle imposte sui redditi consentirebbe anche - per semplificare i conteggi - di utilizzare il minor (cioè il peggiore) cambio mensile determinato dal ministero dell’Economia. Ma questa opzione resta teorica, perché i decreti ministeriali che stabiliscono i cambi mensili comprendono solo le valute ufficiali e non anche le valute virtuali. La compensabilità Le minusvalenze in criptovalute sono compensabili con tutte le plusvalenze di natura finanziaria indicate nel quadro RT della dichiarazione e l’eccedenza è riportabile nei quattro anni successivi, a condizione che venga indicata nel quadro RT dell’anno in cui è prodotta.

 L’assimilazione delle criptovalute alle valute estere comporta che debbono essere indicate nel quadro RW a prescindere dal luogo in cui sono “materialmente” detenute (ad esempio, in supporti informatici oppure presso wallet provider). Poiché, non è però possibile individuare uno Stato estero in cui sarebbe localizzato il “borsellino elettronico”, dall’anno scorso le istruzioni alla dichiarazione dei redditi hanno previsto un codice specifico per l’indicazione delle valute virtuali (codice 14 - Altre attività di natura finanziaria) che consente la compilazione del quadro RW ai soli fini del monitoraggio fiscale senza l’obbligatoria indicazione del codice «Stato estero».

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