mercoledì 10 settembre 2014

Investire con l’inflazione a zero

È stato evocato negli ultimi mesi e alla fine lo spettro si è manifestato: in Italia è arrivata la deflazione (-0,1% ad agosto). Un termine a cui risparmiatori e consumatori sono poco abituati, visto che l'ultima volta che l'indice generale dei prezzi fece registrare un calo fu nel 1959. Negli ultimi decenni gli italiani hanno avuto maggiore dimestichezza con l'inflazione, ovvero con il rialzo generale dei prezzi. A volte a due cifre, come tra gli anni 70 e 80 in concomitanza con la crisi petrolifera.

Istintivamente il calo dei prezzi può apparire una notizia positiva: per chi percepisce un reddito certo o una pensione aumenta il potere d'acquisto. E questo è innegabile in un'ottica strettamente personale. Allargando lo sguardo, però, i nodi vengono al pettine: la deflazione è il sintomo di un'economia impantanata, che non riesce a crescere. I prezzi calano perché la domanda langue, i listini arretrano e minacciano gli investimenti messi in campo dalle imprese. Alla fine le ricadute sono pesanti per il mondo produttivo e in ultima istanza anche per lo Stato.

Comprensibile quindi che la Bce e le autorità politiche stiano mettendo in campo tutti gli sforzi per rimettere in moto una fisiologica crescita; la dinamica dei prezzi non si risolleva in poche settimane, sono trend che possono durare anche per un periodo medio-lungo. Giovedì scorso l'istituto di Francoforte ha stimato allo 0,6% il tasso nel 2014 e all'1,1% nel 2015. Il risparmiatore italiano quindi oggi si trova a fare i conti con questa situazione, che tra alti e bassi, lo accompagnerà probabilmente fino a fine anno e forse oltre.

Di base, in un regime di deflazione, sono i titoli di Stato ad essere avvantaggiati rispetto all'equity. Se i prezzi arretrano e l'economia non cresce, i tassi restano bassi e questo invoglia ad acquistare titoli di Stato. Sulle aziende invece pesa l'incertezza sui profitti futuri e ciò rende sicuramente meno attraente l'investimento più a rischio.

I momenti di assenza di inflazione sono strategicamente quelli migliori per proteggersi quando i prezzi torneranno a salire, perché è fisiologico che prima o poi accadrà. Per questo vengono in soccorso i bond indicizzati all'inflazione. Due gli strumenti, il BTp Italia legato all'inflazione italiana e il BTp inflation linked agganciato all'inflazione europea. I due titoli incorporano nei loro prezzi un'attesa di inflazione, chiamata break even. Se l'inflazione che si realizza in futuro è superiore a quella incorporata al momento dell'acquisto gli strumenti diventano interessanti.

«I BTp Italia e quelli inflation-linked tradizionali – spiega Raffaele Zenti, cofondatore e partner di Advise Only – hanno due punti di break even abbastanza distanti oggi. Il primo, per la scadenza 2020, eguaglia il rendimento del titolo nominale appena con un'inflazione attesa dello 0,16% da qui a scadenza mentre per l'inflation-linked scadenza 2019, l'inflazione deve essere almeno dello 0,94%.

La differenza è probabilmente imputabile al fatto che sono legati a due indici diversi, il primo a quella italiana, che ha un'economia più stagnante, e il secondo a quella europea. Appare comunque decisamente più attraente il BTp Italia, che tradizionalmente è un prodotto più destinato al retail». È importante ricordare, che anche in caso di deflazione, il BTp Italia 2020 garantisce un ritorno reale annuo dell'1,13% contro lo 0,35% dell'inflation-linked 2019.

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