giovedì 24 maggio 2018

Bitcoin e criptovalute da dichiarare al Fisco dal 2018 (per il 2017)

tasse bitcoin
L'Agenzia delle Entrate ha chiarito in un recente interpello l'obbligo di dichiarare in RW il possesso dei Bitcoin, Ethereum, Ripple e delle altre criptovalute, oltre al pagamento delle tasse sulle eventuali plusvalenze da inserire nel quadro RT in caso di superamento delle soglie. Puoi vedere tutti i dettagli nel libro tassazione dei Bitcoin.

La detenzione di criptovalute e di token al di fuori dell’attività di impresa, comprese quelle derivanti dalla partecipazione ad Ico (Initial coin offering) generate da un cosiddetto «crowdsale», va sempre monitorata nel quadro Rw del modello Redditi Pf 2018, mentre ogni transazione in euro non «a pronti», anche generata da quell’attività, produce redditi da dichiarare al quadro Rt da assoggettare ad imposta sostitutiva del 26 per cento. Sono queste le conclusioni a cui è approdata l’agenzia delle Entrate (Dre Liguria) con la risposta all’interpello n. 903-47/2018.
L’Ico consiste in una forma di investimento utilizzata da soggetti disposti a finanziare nuovi progetti, solitamente startup, spesso proprio per finanziare iniziative di creazione e sviluppo delle stesse criptovalute. In cambio del contributo versato, gli investitori ricevono token, ovvero il titolo per acquisire una quota parte della nuova valuta virtuale. Al fine di fornire un paragone con i metodi tradizionali di acquisizione di capitali, in linea di massima può affermarsi che le Ico funzionano in maniera simile ai «pronti contro termine».

L’investitore, infatti, versa a favore del progetto una certa quantità di criptovaluta (bitcoin o altra valuta digitale) e, alla scadenza della Ico, riceverà l’entità di nuova criptovaluta immessa sul mercato, proporzionale al finanziamento effettuato. Nel caso si realizzino in euro differenziali positivi sorti da queste transazioni in valute virtuali, per il fisco la tassazione delle plusvalenze derivanti da tali operazioni deve essere assimilata con gli analoghi redditi conseguiti in relazione alle valute estere (articolo 67, comma 1 lettera c-ter e comma 1-ter del Tuir).

Proseguendo, allora, nel filone interpretativo già fornito con la risposta all’interpello Dre Lombardia n.956-39/2018, viene confermato che quando l’operazione è fiscalmente rilevante per finalità speculativa (ovvero quando la giacenza media del wallet detenuto dal contribuente supera il controvalore in euro di 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta), il contribuente dovrà dichiarare la plusvalenza realizzata. La giacenza va calcolata sulla base del rapporto di cambio al 1° gennaio, rilevato sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale o in mancanza quello dove ha effettuato la maggior parte delle operazioni, mentre la plusvalenza (al netto di eventuali minusvalenze scomputabili) va dichiarata nel quadro Rt, utilizzando il criterio Lifo.

Ulteriormente, in continuità con la risoluzione n. 72/E/2016, che ha assimilato le valute virtuali a quelle estere, viene confermato che anche le prime ricadono nell’obbligo dichiarativo Rw e nel quadro, anche secondo la Dre ligure, il dato da monitorare va indicato alla colonna 3 («codice individuazione bene») con il codice «14» («Altre attività estere di natura finanziaria»), mentre ai fini Ivafe, in quanto tecnicamente il wallet non è considerabile un deposito o conto corrente di natura bancaria, l’imposta non si applica (Circolare 28/E/2012).

Nulla, invece, viene affermato in merito al fatto che le criptovalute non hanno legame con alcun territorio e rappresentano solo valori che esistono nella rete, dovendosi allora segnalare che, allo stato, la pretesa indicazione nel quadro Rw della detenzione di valuta virtuale non deriva da una specifica previsione normativa, ma solo dalle indicazioni dell’Agenzia che, di fatto, considera le criptovalute detenute all’estero per una sorta di presunzione assoluta di prassi.

Per tutti i dettagli, vedi il libro dedicato alla tassazione dei Bitcoin.

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