giovedì 4 giugno 2015

Cosa è l’inflazione? Come investire con e senza inflazione

La parola inflazione deriva dal latino “inflare” – gonfiare – e si riferisce al gonfiamento dei prezzi. In economia di solito si usa questo termine pensando a un aumento consistente e continuo dei prezzi stessi, ma l’inflazione può essere alta o bassa o addirittura negativa (la deflazione)
«Non c’è modo più sottile e più sicuro di minare le basi di una società che di svilirne la moneta. Quel processo impegna tutte le forze nascoste delle leggi economiche nel campo della distruzione, e lo fa in un modo che neanche un uomo su un milione sarebbe capace di diagnosticare...». Questa fiera accusa all’inflazione viene da un grande economista del Novecento, John Maynard Keynes.

Oggi i titoli dei giornali si occupano più della deflazione che dell’inflazione. Sono ambedue delle brutte bestie, ed è difficile decidere qual è la più brutta. Keynes, per quanto (come abbiamo appena visto) vituperasse l’inflazione, disse anche che fra i due mali quello minore è la deflazione (cui è dedicata la pagina seguente). Ma qui parliamo dell’inflazione. Di “inflazioni” ce ne sono molte.

L’andamento dei prezzi – è a questo che ci si riferisce quando si parla di inflazione – si può riferire ai prezzi al consumo, o a quelli all’ingrosso, o a quelli delle materie prime – ma qui parliamo del significato più corrente, che riguarda i prezzi al consumo, il costo della vita. Oggi non ci si preoccupa più dei prezzi che salgono, il che è una novità per noi italiani. I giovani non si son mai dovuti preoccupare dell’inflazione: il ritmo di aumento dei prezzi, negli ultimi vent’anni, non è mai andato al di là del 3-4%, e in media è stato del 2 per cento.

Ma i meno giovani si ricordano di quando l’inflazione era alta e tirava verso il 10-15-20%. E ancora oggi all’estero, se si parla dell’Italia e dell’inflazione, le due parole sono associate. Nel febbraio del 2011, l’inflazione (prezzi al consumo) in Italia era bassa, viaggiava al ritmo del 2,1% annuo, vicino al ritmo tedesco (1,8%). E nei dieci anni precedenti la media del tasso di inflazione in Italia era stato analogo, appena superiore al 2 per cento. Ma tutto questo non impedì a Bild, il quotidiano (stile tabloid) più venduto in Germania, di disapprovare la candidatura di Mario Draghi alla presidenza della Bce: «Con gli italiani – opinò quel giornale – l’inflazione è parte della vita, come la pasta al pomodoro». Oggi anche i tedeschi si sono ricreduti (si spera) e l’inflazione è stata sconfitta. Ma l’inflazione è buona o cattiva? Dipende, direbbe l’economista. La risposta è un po’ esasperante: non si può rispondere sì o no, bianco o nero? No, bisogna stare a metà strada, seduti sulla staccionata, né da una parte né dall’altra.

E ci sono tanti altri esempi di questo «dipende»: il fuoco è utile, ma può bruciare, l’acqua è essenziale, ma ci si può annegare. Così con l’inflazione. L’ideale è quella «né troppo calda né troppo fredda», come la minestra di Riccioli d’oro, in quella fiaba dell’Ottocento. Che cosa vuol dire, per l’inflazione, «né troppo calda né troppo fredda»? La spirale dell’incertezza Per rispondere a questa domanda, bisogna prima capire perché l’inflazione è qualcosa di negativo. E perché la stabilità dei prezzi è invece qualcosa di positivo. Cominciamo con l’incertezza. Tutti vorremmo certezze, ma in questo basso mondo di certezze ce ne sono poche. Certo, però, aiuterebbe se i prezzi fossero stabili. Se un imprenditore deve tirar su una fabbrica, fa i suoi calcoli di costi e ricavi per decidere se vale la pena di investire.

Ma per calcolare costi e ricavi deve sapere come andranno i prezzi: del lavoro, delle materie prime, dei prodotti finiti. Non sapendolo deve fare scommesse. Se invece fossimo sicuri che i prezzi rimarranno sempre quelli, questo aiuterebbe molto l’investimento, toglierebbe parecchi punti interrogativi dai piani aziendali. Andiamo ora all’estremo opposto, dove i prezzi aumentano rapidamente. Anche senza arrivare ai famosi episodi di «iperinflazione» (quando, come nella Repubblica di Weimar, ci voleva un chilo di banconote per comperare un chilo di burro, o gli avventori in birreria ordinavano parecchie birre alla volta per evitare che, fra un birra e l’altra, i prezzi salissero ancora), si comprende come un’inflazione al 10% o al 20% sia scomoda. I risparmiatori del 1980 magari erano contenti che i BoT rendessero il 16% (adesso rendono quasi niente), ma l’inflazione del 1980 era al 21%, e gli interessi non coprivano neanche l’aumento dei prezzi. Un’inflazione alta vuol dire in ogni caso tassi di interesse alti (i prestiti bancari nel 1980 costavano circa il 20%), ma, soprattutto, vuol dire maggiore incertezza. Storicamente, un’inflazione alta vuol dire anche inflazione variabile: variabile verso vette più alte ancora o anche variabile verso il basso.

Le certezze di cui si parlava prima vanno a farsi benedire, e l’investimento si chiude a riccio, in attesa di tempi migliori. Il valore della stabilità C’è di più. Non è impossibile proteggersi dall’inflazione alta, se si ha il potere di farlo. Per esempio, un luminare oculista, se vede che i prezzi aumentano del 20%, può da un giorno all’altro aumentare i suoi onorari del 20 per cento. Ma l’operaio non lo può fare, i pensionati non lo possono fare. Tutti coloro che hanno un reddito fisso soffrono dell’inflazione elevata. É questo che voleva dire Keynes quando scriveva che l’inflazione mina le basi della società: sono i più deboli che non possono difendersi dall’aumento dei prezzi, e quindi l’inflazione rende la società più ingiusta e attizza le ceneri del malcontento. Simmetricamente, se il problema è quello della stabilità, anche i prezzi che scendono sono da evitare, ma di questo si parla nella pagina accanto.

Allora, se i due estremi sono da evitare, torniamo alla stabilità. Che cosa si intende esattamente per «stabilità»? La definizione operativa di stabilità, adottata dalla Bce e da altre Banche centrali, è un’inflazione non superiore – ma vicina – al 2%: diciamo il 2 per cento. Perché 2 e non zero? Per due ragioni. La prima, tecnica, sta nel modo di calcolo dell’inflazione, che tiene conto solo imperfettamente dei miglioramenti di qualità dei prodotti. La seconda, di sostanza, sta nel fatto che «stabilità» non vuol dire certo che tutti i prezzi dei beni e dei servizi debbano stare fermi. Ci saranno sempre prezzi che salgono e prezzi che scendono. Dato che dietro i prezzi ci sono costi – specialmente il costo del lavoro - e dato che è difficile, là dove i prezzi scendono, ridurre i salari, un po’ di inflazione è utile perché agisce da lubrificante del sistema economico.

Cause dell’inflazione

Non esiste una causa unica che scatena un incremento dei prezzi di determinati beni o servizi o quantomeno non esiste accordo sull’origine dell’inflazione tra le principali teorie macroeconomiche. Qui a fianco ricordiamo i tre motivi fondamentali che possono scatenare il fenomeno, a volte anche in modo congiunto.

LE TRE TIPOLOGIE

Secondo la teoria keynesiana l’inflazione si crea a causa di un eccesso di domanda rispetto all’offerta di un determinato bene. Anche per questo viene definita inflazione da domanda. L’incremento dei costi di produzione, delle materie prime o del lavoro, può portare le imprese ad aumentare i prezzi di vendita dei prodotti. In questo caso si parla di inflazione da costi.

Per i «monetaristi» l’aumento del tasso di crescita della moneta delle Banche centrali si traduce nel lungo periodo interamente in un incremento dei prezzi: è l’inflazione da eccesso di moneta. È buona quando è stabile e moderata

Qual è un’inflazione «buona»? Semplice, quella che prendono come obiettivo le Banche centrali. Ognuna ha la propria ricetta: la Bce la vuole «al di sotto, ma vicina al 2%»; la Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra si accontentano del 2 per cento. Al di là del numero magico (in questo caso il 2, che ricorre un po’ per tutte le istituzioni finanziarie), un tasso di inflazione moderato ma soprattutto stabile può rappresentare un vantaggio per chi deve prendere decisioni di investimento importanti come un’azienda. Chi sceglie di acquistare un nuovo macchinario, di affittare un capannone e soprattutto di assumere nuovi impiegati od operai deve soppesare costi e ricavi, e quindi cercare di capire come si muoveranno in futuro i prezzi di ciò che deve acquistare e anche di ciò che produrrà e dovrà vendere.

Raggiungere la certezza in questi casi è ovviamente impossibile, ma prendere come riferimento la stabilità potrebbe essere senz’altro utile. È cattiva quando finisce fuori controllo I tedeschi sono ossessionati dall’idea di un’inflazione che si gonfia tanto da divenire incontrollabile. A quasi un secolo di distanza nelle loro menti non si è estinto il ricordo dell’iperinflazione che si è verificata ai tempi della Repubblica di Weimar, quando il tasso annuo di crescita dei prezzi superò il 1000% e per comprare un chilo di burro serviva più di un chilo di banconote. Senza scomodare casi simili (poco probabili, ma non così infrequenti nella storia), un’inflazione particolarmente elevata riduce in modo significativo il potere d’acquisto di ciascun soggetto e penalizza soprattutto l’ultimo anello della catena economica, cioè le famiglie, che non possono difendersi dalla spirale rialzista dei prezzi.

Paradossalmente, un’inflazione alta favorisce invece chi ha contratto un debito perché, mentre il suo valore nominale resta invariato, quello reale si riduce in base all’andamento dei prezzi.

0 commenti:

Posta un commento