venerdì 11 marzo 2016

Ubi Banca - come svendere una banca sana a pochi padroni indebitati

Non c'è solo Banca Etruria o Monte dei Paschi di Siena ad insegnarci come la politica e i grandi burattinai alla lunga portano alla rovina tanti piccoli risparmiatori a beneficio di pochi industriali e signorotti sponsorizzati dai partiti (in realtà dovremmo dire il partito, visto che si tratta sempre del PD). Il caso di Ubi Banca è eclatante. Nato da BPU (un gruppo solido e redditizio) e Banca Lombarda (gruppo vicino al fallimento) dopo che quest'ultima rischiava di finire in mani straniere facendo perdere il potere ai gruppi di interesse locali che facevano capo a Bazoli, il vero burattinaio d'Italia (dietro anche a Banca Intesa, Pirelli, Espresso etc.). Fusione fatta con concambi assurdi già allora, più assurdi poi quando si è constatato (nell'attuale periodo di crisi) che quasi il 90% delle sofferenze sono di matrice ex Bl. Mentre la Banca Popolare di Bergamo garantisce la totale redditività, tanto che fa più utili da sola che tutto il Gruppo Ubi Banca.  Ecco l'articolo di Milano Finanza.

Ha fatto scalpore la palese asimmetria dimensionale tra i due patti di sindacato di Ubi Banca, rappresentanti le matrici storiche di soci: da un lato il bergamasco Patto dei Mille, con il 2% circa del capitale, prosecuzione ideale dell’associazione Amici di Ubi Banca, da sempre sotto l’egida del presidente Emilio Zanetti; dall’altro il Patto di consultazione azionisti Ubi Banca, con il 12%, erede del patto Banca Lombarda Piemontese, con varie famiglie bresciane (Beretta, Fidanza, Folonari, Lucchini, Zaleski), enti religiosi soci dell’ex Banco San Paolo di Brescia e la Fondazione Banca del Monte di Lombardia; tutti tenuti insieme, in passato, dal carisma e dalle relazioni di Giovanni Bazoli. Fuori dai patti, per ora, la Fondazione CariCuneo (azionista di minoranza di Bre-Banca Regionale Europea), il maggiore degli azionisti storici.

I pesi diversi delle due cordate dipendono dalle diverse storie: ex cooperativa a capitale frazionato o ex spa controllata da pochi. Dipendono però anche dai concambi definiti in due fusioni: nel 2003, quando Banca Popolare di Bergamo e Banca Pop. Commercio & Industria formarono Bpu-Banche Popolari Unite; e nel 2007, quando Bpu si fuse con Banca Lombarda e Piemontese, formando Ubi Banca. Gli azionisti di Bpb prima e di Bpu poi, essendo più grandi e acquirenti di fatto, forti dei risultati e del numero dei soci, nell’illusione di restare padroni e gestori offrirono lauti premi attraverso concambi generosi. Premi trasposti negli avviamenti, riallocati dopo le fusioni sulle controllate.

Premi e avviamenti oggi insostenibili, visti i risultati effettivi e i prezzi di borsa, più che dimezzati. Chi per sfizio volesse ricalcolarsi i concambi sui numeri recenti e non su quelli passati, giungerebbe a pesi dei patti di sindacato se non opposti a quelli odierni, almeno vicini alla parità e in ogni caso assai più a favore dei soci ex Bpu. È lampante che chi ha negoziato le fusioni ha trasferito valore per alcuni miliardi di euro da una parte dei soci a un’altra. Ci sono stati poi aumenti di capitale, risparmi di costi e tagli di personale; ma i risultati economici sono ancora assai diversi tra le diverse parti del gruppo Ubi. I risultati peggiori vengono da Est (Banco di Brescia), dal Sud (Carime) e dalla Liguria (Banco San Giorgio, incorporato in Bre), dove la qualità del credito, base del core-business, si è rilevata modesta. Le fusioni in Ubi, oltre a trasferire valore, probabilmente hanno anche impedito che esplodesse qualche grave caso di crisi (tipo popolari venete), se non di fallimento. Sono state libere trattative tra chi ex post si è dimostrato un negoziatore più abile (in genere, chi aveva venduto) e chi meno (chi comprava e credeva di comandare); e la solidità, benedetta dalla Banca d’Italia, è stata pagata da alcuni, a vantaggio di altri; senza fondi di tutela o meccanismi di risoluzione. Tutto questo però è storia, del senno del poi sono piene le fosse.

Più interessante guardare al futuro, che si potrà ancor meglio interpretare alla presentazione delle liste dei nuovi amministratori, essendo scontato l’esito dell’assemblea del 2 aprile. Prima arriverà la lista dei pattisti; seconda quella dei fondi, magari con qualche ex. E’ paradossale che alcuni azionisti e industriali bresciani (che tra acciaio e immobiliare in difficoltà hanno oggi più preoccupazioni e debiti che liquidità) e alcuni enti religiosi (che non hanno più la forza di una volta) insieme potranno controllare Ubi Banca, grazie alle azioni storicamente possedute, a concambi abilmente negoziati e al limite statutario del 5% nella spa, comodo per alcuni soci privati e per il management, ma poco gradito a fondi istituzionali e mercato. Sulla sponda bergamasca, invece, non mancano i soldi freschi: per certi versi, anzi, i vari Bombassei (Brembo), Sestini (Siad), Pesenti (post vendita Italcementi), Bosatelli (Gewiss), paiono oggi più liquidi e solidi dei cugini bresciani. Strano, allora, che pur con il titolo Ubi vicino ai minimi, nessuno si fidi a mettere più soldi sul piatto e a comprare azioni per riequilibrare il peso tra i patti.

Qui però non valgono sentimenti e campanili, ma affari e prospettive. Bergamaschi o meno, gli imprenditori ricchi, che non hanno debiti né bisogno di maggiore supporto bancario, investono più risorse solo se ritengono di poter guadagnare più del loro costo del capitale e se vedono qualità nella gestione e nei risultati. Convinti, potrebbero investire altre centinaia di milioni; certo non meno della famiglia Malacalza, che controlla con il 15% Carige, banca ben più problematica e senza il vincolo del 5%. Perché allora non accade lo stesso in Ubi, con protagonisti i membri più forti del Patto dei Mille o con altri imprenditori? Che idee si sono fatti sul futuro di Ubi? Temono l’influenza di altri grandi azionisti (magari indebitati) o di chi, avendo responsabilità di vertice, ha promosso acquisizioni in cui chi ha acquistato ha regalato valore a chi ha venduto? Credono nell’attuale gestione e nelle possibili strategie, che potrebbero andare dallo stand-alone a un complesso matrimonio con Mps?

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