Non è un caso se, stando a Epfr Global, da inizio anno i fondi specializzati sul debito emergente hanno raccolto oltre 40 miliardi di dollari: una drastica inversione di rotta rispetto all’emorragia subita nel 2015 (37 miliardi). Rahman è convinta che questa dinamica possa innescare un circolo virtuoso: il flusso di capitali porta a un apprezzamento delle divise locali, stimola un migliore accesso al credito (perché mette le banche centrali nelle condizioni di tagliare i tassi, il che favorisce la domanda di prestiti da parte di famiglie e imprese) e contribuisce ad alimentare ulteriormente la crescita economica.
«Questo a sua volta dovrebbe generare un miglioramento della produttività del capitale e del lavoro», ricorda il gestore, «non dimentichiamo che, al di fuori della Cina, i Paesi emergenti vantano una popolazione giovane, che soffre maggiormente in fasi di rallentamento e, al contrario, può imprimere una vivace spinta propulsiva quando il ciclo riprende slancio».
Al tempo stesso, le obbligazioni dei mercati meno sviluppati offrono un discreto margine di sicurezza in caso di eventuali correzioni. «Affinché il debito in valuta forte faccia peggio delle obbligazioni americane investment grade, gli spread di credito dei mercati emergenti dovrebbero allargarsi di almeno 200 punti base, arrivando vicino ai livelli medi della crisi di Lehman Brothers», calcola Rahman. Un discorso analogo vale per i bond in valuta locale. Un titolo governativo in real brasiliani dà l’11,4% a cinque anni. «La divisa dovrebbe svalutarsi di oltre il 40% dai livelli attuali per erodere in toto questo rendimento. Vale la pena ricordare che le valutazioni del real sono sostanzialmente corrette, oggi». In questa fase di mercato, secondo il vice president di Pimco, le migliori opportunità tra i titoli denominati in dollari si possono trovare in Brasile (emissioni societarie e governative) e Argentina. Indonesia, India e, di nuovo, Brasile, sono le aree più attraenti per il debito in valuta locale.
La scelta degli investitori dipende dalla rispettiva propensione al rischio. «Se si è disposti a tollerare le oscillazioni legate al rischio valutario, il debito in divisa locale, sebbene più volatile, potrebbe consegnare un rendimento un po’ più alto rispetto alle obbligazioni denominate in hard currency; che, in ogni caso, dovrebbero essere favorite da una ulteriore compressione degli spread». I principali timori di molti esperti rimangono focalizzati sulla traiettoria restrittiva della politica monetaria americana. Secondo Rahman, però, la reazione del debito emergente al probabile aumento dei tassi, a dicembre, dovrebbe essere relativamente modesta: «Il 70- 80% del prossimo rialzo è già nei prezzi: i mercati scontano l’ipotesi di almeno uno o due ritocchi nel 2017. Per avere un impatto negativo dovremmo assistere a una stretta monetaria più severa del previsto, dovuta a una sorpresa positiva sul fronte della crescita americana o a un sollevamento improvviso delle aspettative sull’inflazione».
0 commenti:
Posta un commento