lunedì 9 febbraio 2015

Investire sul petrolio. Previsioni per il 2015

l crollo del prezzo del greggio ai minimi da oltre cinque anni ha spinto al ribasso le valutazioni dei gruppi petroliferi, tanto da renderli molto attraenti per potenziali takeover. Wilhem Schulz, responsabile del m&a per Europa, Medio Oriente e Africa di Citigroup, ha recentemente citato il settore oil, oltre al chimico, ai metalli e al minerario, fra quelli che potrebbero riservare le maggiore sorprese nei prossimi mesi.

L’attenzione è incentrata sulle società di esplorazione più piccole, costrette a rinviare i piani di investimento e sommerse da alti debiti. Ma non solo. Gli esperti fanno anche il nome di Bp, la terza maggiore compagnia inglese, che capitalizza oltre 100 miliardi di dollari. Il titolo, a causa soprattutto delle conseguenze del disastro ecologico del Golfo del Messico dell’aprile del 2010, ha lasciato sul terreno negli ultimi cinque anni il 35% del suo valore e il 20% nel solo 2014.
Nonostante le cessioni di asset non strategici realizzate finora (intorno a 40 miliardi di dollari) il gruppo continua a navigare in acque difficili, dopo aver recentemente annunciato il taglio di altri 300 addetti, anche a causa di una struttura dei costi più onerosa dei concorrenti, tanto da poter diventare una potenziale preda di un’altra major del settore del calibro di Shell (198 miliardi di dollari di capitalizzazione) ed Exxon Mobil (380 miliardi). Secondo gli esperti di Oppenheimer, la fusione fra due delle maggiori compagnie mondiali porterebbe a un risparmio di costi intorno a 10 miliardi di dollari nei prossimi tre anni.

Dopo Halliburton. La tendenza al consolidamento del settore è inevitabile anche secondo i consulenti di Bain & company, che mettono l’accento sulla difficoltà dei grandi gruppi nel sostenere i costi, in una situazione in cui già risentivano del calo delle riserve, prima che in questo scenario si inserisse il crollo del prezzo del petrolio sotto i 50 dollari al barile. I problemi maggiori derivano da tre fonti: i costi di produzione, che sono cresciuti della metà per le major negli ultimi cinque anni, la complessità che è aumentata, costringendo operatori e società di servizi a seguire procedure più elaborate nel business, e le politiche dei governi.

Nei prossimi 12-18 mesi i manager delle compagnie petrolifere dovranno concentrare il loro impegno per risolvere i problemi in queste aree, in modo da arrivare in salute quando il prezzo del Brent riprenderà a salire. Prima di allora si vedranno però nuovi accordi (con nomi ricorrenti come Technip, Gtt e Sbm Offshore), soprattutto nel segmento dei servizi petroliferi, dopo l’avvio alle danze di Halliburton, che a novembre ha acquisito la società Baker Hughes (terza in graduatoria) in cambio di 34,6 miliardi di dollari, in uno scenario che vede i margini reddituali sotto pressione. L’offerta, pari a 78,62 dollari per ogni azione Baker Hughes, ha creato un nuovo colosso da 70 miliardi di capitalizzazione, che si posiziona tuttavia a distanza dal leader Schlumberger (125 miliardi).


Dopo i record del 2014. Se le aspettative per il 2015 sono positive, il 2014 è stato un anno record per le operazioni di m&a nel settore petrolifero. Secondo i dati raccolti da Dealogic hanno toccato il picco, a livello globale di 315,2 miliardi di dollari, per un totale di oltre 1.500 accordi con una crescita del 30%, preceduti solo dal massimo del 2012 (368,4 miliardi di dollari). Le maggiori operazioni sono state realizzate, come era prevedibile, nelle Americhe con 210 miliardi di dollari, seguite dall’area Asia.Pacifico (55,4 miliardi di dollari) dove è stata portata a termine fra il settembre 2014 e il gennaio 2015 l’acquisizione, da parte di un gruppo di investitori, del 30% (valore 17,4 miliardi di dollari) del capitale della compagnia Sinopec Marketing. I principali registi dietro questi accordi nel settore oil sono stati Goldman Sachs (123,5 miliardi di dollari), seguita da Bank of America Merrill Lynch (85,9 miliardi ) e dal Credit Suisse (60,4 miliardi).

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