mercoledì 13 gennaio 2016

Come e dove investire in Cina nel 2016

Il nuovo corso economico cinese è una normalità che ha dello straordinario. Dopo anni di crescita a doppia cifra percentuale l’ipotesi che il pil del Dragone nel 2015 si fermi a un +7% fa notizia. In realtà il rallentamento è stato graduale e va avanti da tempo. Ma mai come nell’anno appena trascorso i timori sulla tenuta della seconda economia mondiale hanno influenzato i mercati globali, complici anche la presa di coscienza della dirigenza cinese, che ha esortato il mondo ad abituarsi alla «nuova normalità», e le perplessità in merito alla capacità del Partito Comunista di gestire al meglio la situazione (dubbi alimentati dal crollo delle borse locali avvenuto in estate e dalle operazioni di svalutazione dello yuan).

«C’è negatività sull’economia cinese », ha ammesso Stefano Chao di AZ Investment Management nel corso di un recente workshop sulle opportunità offerte dal 13° piano quinquennale (2015-2020). Nel medio e nel lungo termine, ha aggiunto, c’è però spazio per l’ottimismo. «Stiamo assistendo a un importante ribilanciamento dell’economia, con la transizione dall’industria pesante al terziario», ha segnalato Chao. E questo passaggio aiuterà la Cina a crescere nonostante il rallentamento dell’industria e avrà risvolti positivi sulla qualità della crescita, anche per quanto riguarda i risvolti ambientali. «Le riforme verso un modello economico più aperto al mercato sono sempre al centro dell’agenda del governo e ciò può costituire un motivo di ottimismo per gli investitori », fa eco Matthew Sutherland di Fidelity International. «Dopo un anno complesso per i mercati cinesi ci aspettiamo una maggiore stabilità dei listini nel 2016, grazie anche a una maggiore cautela negli scambi».

Superate le turbolenze estive, durante le quali la borsa di Shanghai perse il 43% dai massimi giugno, i listini della Cina continentale si sono calmati, sostenuti dall’intervento del governo e delle autorità di vigilanza. Nonostante i crolli, l’indice Composite di Shanghai ha chiuso comunque l’anno in rialzo del 10%. La brusca correzione è stata considerata in parte fisiologica dopo il rally del 50% realizzato tra la fine del 2014 e la prima metà dell’anno appena trascorso. Mesi nei quali il mercato azionario si è mosso in modo scollegato dall’andamento dell’economia reale, sostenuto anche dall’esortazione del governo a investire. Il popolo dei risparmiatori cinesi, oggi più numerosi degli 88 milioni di iscritti al Partito Comunista, si è quindi mosso senza badare troppo a rischi e fondamentali, confidando nell’eventuale salvagente di Pechino. E così è avvenuto. Secondo un’analisi di Goldman Sachs, Pechino ha speso almeno 1.500 miliardi di yuan (230 miliardi di dollari) per risollevare i listini agendo attraverso società di brokeraggio, fondi e aziende. Per la dirigenza cinese quanto avvenuto sugli indici di Shanghai e Shenzhen è stato comunque un danno di immagine.

La risposta della leadership è stata prima di tutto giudiziaria, con indagini e arresti tra gli attori finanziari. Le pecche emerse hanno inoltre spinto Pechino ad accelerare sulla riforma del proprio settore finanziario. «L’apertura del mercato nazionale delle azioni A-share permetterà un rafforzamento delle norme di governance per un maggior numero di imprese cinesi, un maggiore interesse da parte degli investitori e un peso più importante della Cina nel mercato azionario globale», ha spiegato Jasmine Kang di Comgest. PboC. Perno della nuova architettura è la People’s Bank of China. Nell’ultimo anno l’istituto centrale guidato da Zhou Xiaochuan si è conquistato un ruolo di primo piano. Il potere, va ricordato, è saldo nelle mani del presidente Xi Jinping, sotto la cui dirigenza sta venendo meno la gestione collegiale che ha contraddistinto gli anni di governo dei suoi predecessori.
La PboC a sua volta non è un’istituzione indipendente come la Fed o la Bce. Le decisioni sono di natura politica e rispondono agli input del Pcc. La politica monetaria cinese sta però iniziando a ripercuotersi sulle decisioni delle altre istituzioni. La svalutazione controllata dello yuan, decisa ad agosto, ha avuto un peso nel rinvio del rialzo dei tassi d’interesse da parte della Fed. La mossa di Pechino, che ora secondo gli analisti dovrà tenere sotto controllo il calo dello yuan e il rischio di fuga di capitali, è stata comunque salutata con favore dal Fondo Monetario Internazionale perché fa muovere la Cina verso una cambio più flessibile (a stretto giro c’è stato l’ok all’inclusione dello yuan tra i diritti speciali di prelievo dal prossimo ottobre). Con favore è visto anche l’alleggerimento monetario per stimolare l’economia. Da novembre 2014 la PboC ha tagliato per sei volte i tassi di interesse e ha ridotto il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche. L’opinione diffusa è che comunque saranno necessarie altre misure per evitare una frenata più marcata del ritmo di crescita.

L’eventualità è già messa in conto. «Un rallentamento dell’economia cinese che si traduca in una crescita del 6% non dovrebbe ripercuotersi in modo negativo; gli impatti sulla stabilita saranno mitigati dal sostegno fiscale e monetario del governo», commenta Viktor Nossek di WisdomTree Europe. Riforme. Per mantenere la crescita intorno al 6,5% annuo fino al 2020 sarà decisiva la capacità di portare a termine le riforme. Pechino sta mettendo mano alle grandi aziende pubbliche per migliorarne la competitività favorendo le aggregazioni. Il governo ha inoltre assunto una visione internazionale, in particolare con le iniziative sulla Via della Seta e con l’istituzione della Banca Asiatica per le Infrastrutture, che nelle intenzioni dovrebbe rappresentare un contraltare alla Banca Mondiale a trazione Usa.


Si intende inoltre ampliare l’assistenza sanitaria e previdenziale per i cittadini, così da liberare risorse per i consumi con ricadute anche sull’immobiliare. Il mercato residenziale, dicono infatti i dati di Real Estate Advisory Group, si sta consolidando, sebbene nelle città di seconda fascia la domanda sia ancora insufficiente. I volumi di investimento sono comunque in aumento (+45% nei primi nove mesi dell’anno). Corruzione. Intanto continua la campagna del governo contro il malaffare. Le indagini, come dimostra il fermo del fondatore del gruppo Fosun Guo Guangchang, si stanno indirizzando anche verso i privati, oltre che verso manager e funzionari pubblici. Alcuni imprenditori, come il fondatore di Alibaba Jack Ma, sono indicati come esempi virtuosi. Ma il caso Guo dimostra che nessuno in Cina può dirsi davvero al sicuro.

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