martedì 19 gennaio 2016

Obbligazioni alto rendimento per il 2016

Saliscendi d’estate a parte, il 2015 è stato un anno molto buono per i mercati obbligazionari europei, con i rendimenti che sono scesi in maniera importante soprattutto a partire dallo scorso settembre, una volta rientrati i timori legati a un’escalation della crisi greca e al crollo delle borse cinesi. Contemporaneamente la Bce ha continuato a comprare a mani basse i titoli obbligazionari in euro e ha confermato più volte che la politica monetaria espansiva continuerà almeno fino a marzo 2017, quindi anche oltre il termine di settembre 2016 indicato precedentemente da Draghi.

Infine, la Federal Reserve ha ritardato il cambio di trend della politica monetaria statunitense sino allo scorso 16 dicembre, quando ha aumentato il tasso di interesse di riferimento, senza però escludere l’ipotesi di un futuro dietrofront se sarà necessario. In ogni caso il divario tra i tassi pagati sui mercati obbligazionari americano ed europeo è importante: il Treasury a dieci anni rende infatti attorno al 2,27%, in calo dai massimi di quest’estate attorno al 2,48% ma ben sopra i minimi di fine gennaio (1,64%). Lo scenario, insomma, è stato di assoluto favore per i bond europei, che si sono apprezzati di conseguenza, portando così gli investitori, sempre più affamati di rendimenti, a sottoscrivere con entusiasmo molte delle tante emissioni corporate high yield arrivate sul mercato per finanziare operazioni di merger&acquisition.

Secondo i calcoli di Dealogic, le emissioni di bond ad alto rendimento a supporto di acquisizioni in Europa lo scorso 9 dicembre avevano raggiunto quota 37,6 miliardi di dollari, in aumento del 15% rispetto alle emissioni di questo tipo effettuate in tutto il 2014 (32,6 miliardi). L’Europa ora pesa per il 33% sul totale del mercato delle emissioni a supporto di attività di m&a; la percentuale più alta mai registrata. D’altra parte, a fronte della grande liquidità presente sul mercato, i tassi governativi sono ormai davvero risicati, quando non a zero, ed è quindi ovvio che gli investitori si dirigano verso asset più rischiosi in grado di pagare di più rispetto alle briciole offerte in questo 2015 dai titoli governativi, soprattutto in Europa. In questi giorni infatti il Bund tedesco paga lo 0,6% a dieci anni, dopo aver toccato un massimo a 0,98% a metà giugno e un minimo a 0,075% in aprile. Per non parlare dei rendimenti negativi per le scadenze brevi sul secondario, che da mesi sono ormai la norma.

Anche in Italia, dove non si era mai vista, tale situazione si è puntualmente verificata nei mesi scorsi. Non solo; anche in Italia per la prima volta nella storia il Tesoro ha piazzato in asta Bot con rendimenti negativi. È accaduto a novembre, quando i titoli a sei mesi e a un anno sono stati collocati rispettivamente a un rendimento medio ponderato del -0,030% e del -0,055%, dopo che sul mercato secondario i rendimenti erano entrati in territorio negativo già da una ventina di giorni. Così, il Bot a un anno, che aveva iniziato il 2015 attorno a quota 0,35%, lo sta finendo su quota -0,019% e il Btp a dieci anni, che era partito attorno al 2% e aveva toccato un minimo all’1,1% a marzo e un massimo al 2,39% a fine giugno, è via via sceso sino a portarsi nella fase attuale attorno a 1,67%.

Va anche segnalato che a inizio dicembre era sceso fino all’1,4%, ma il recupero dei rendimenti di queste ultime settimane sembra il riflesso delle tensioni che si sono viste sul mercato dei bond high yield dopo il collasso di un fondo di credito gestito dall’asset manager americano Third Avenue Management (che ha bloccato i rimborsi ai sottoscrittori) e conseguenti timori del mercato in merito all’ipotesi che l’episodio possa non rappresentare un caso isolato.

C’è chi teme infatti un effetto-domino generale, innescato dall’aumento dei default sui titoli a rating speculativo, soprattutto nel settore oil&gas, causato dal crollo dei prezzi di petrolio e materie prime, che sta affossando le valute e le economie di molti Paesi emergenti esportatori. Il premio pagato sui contratti di credit default swap per proteggersi dal rischio di fallimento degli emittenti di debito in euro con rating speculativo è infatti salito all’improvviso a metà dicembre, quando l’indice iTraxx CrossOver di Markit ha toccato i 350 punti base partendo dai 290 dei giorni precedenti l’annuncio della chiusura del fondo di Third Avenue. Negli ultimi giorni l’allarme è un po’ rientrato e lo spread si è riportato sotto i 330 punti base, comunque sempre ben sopra i minimi della scorsa primavera attorno a 240 ma sotto i massimi di settembre a 380.

Lo scossone prenatalizio va in realtà letto come un’opportunità di investimento, se si è in grado di evitare le emissioni davvero a rischio. Tutti i titoli di emittenti con merito di credito medio-basso hanno infatti visto aumentare i rendimenti nelle ultime settimane, in particolare se si confrontano con i minimi toccati la scorsa primavera, ma il movimento ha appunto riguardato un po’ tutti gli emittenti, lasciando quindi spazio alle occasioni d’acquisto. Per quanto riguarda i titoli corporate high yield italiani, la tabella pubblicata in pagina mostra come sono cambiati i rendimenti nel corso degli ultimi sei mesi. In alcuni casi sono saliti in maniera significativa a causa di eventi legati direttamente alla società emittente, come nel caso di Manutencoop o di Astaldi, ma in altri casi si tratta davvero di un riflesso condizionato dall’andamento generale del mercato, come per i bond di Cerved del gruppo Fca.

0 commenti:

Posta un commento