Dopo 76 anni di attività, la società simbolo del monopolio statale sarà sottoposta a un profondo cambiamento che prevede l’apertura al capitale privato e straniero. E muterà anche lo scenario che regola l’educazione, il fisco, la finanza e le telecomunicazioni. In un paese di 118 milioni di abitanti con 52 milioni di poveri, il target del 5% si è trasformato nel punto di riferimento nazionale, ma la strada non è facile.
Dal 1982 la crescita media annua del Pil è stata del 2,4%; il 2013 si è chiuso con un deludente 1,1% e le previsioni per il 2014 sono state tagliate dall’esecutivo al 2,7%. Troppi intoppi per una potenza emergente che aspira a diventare la decima economia del pianeta (attualmente è al 14° posto). Le dimensioni della sfida sono titaniche. Nelle telecomunicazioni, per esempio, la riforma implica tagliare il potere accumulato da due titani: Carlos Slim ed Emilio Azcarraga. Il primo, uno degli uomini più ricchi del mondo, controlla l’84% della telefonia fissa e il 70% di quella mobile. Il secondo, il 70% della radiodiffusione.
L’apertura alla concorrenza di questi imperi rappresenterebbe una rivoluzione nelle regole della concorrenza e una straordinaria prova di forza politica. Non da meno è la sfida nel settore energetico. Il prezzo dei carburanti sarà liberalizzato, i contratti saranno di dominio pubblico, il sindacato dei lavoratori petroliferi uscirà dal cda di Pemex e il peso fiscale sopportato dalla società, che alimenta da sola un terzo delle entrate fiscali, scenderà dal 79% al 65%. Il nuovo paradigma si estende anche al gas e all’elettricità. La conseguente riduzione dei prezzi dell’energia avrà ripercussioni positive sull’industria manifatturiera, il grande motore del paese.
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