lunedì 18 maggio 2015

Cosa è la deflazione? Effetti per gli investitori

Se con l’inflazione i prezzi si gonfiano, con la deflazione si sgonfiano : diminuiscono, poco o tanto. Una deflazione buona si manifesta quando il progresso tecnologico fa diminuire il costo dei prodotti; quella cattiva si verifica quando la crisi costringe ad abbassare i prezzi I prezzi che scendono; e continuano a scendere. Non è una cosa meravigliosa? No, non lo è. La deflazione è un po’ come la perdita di peso. Può essere un bene, ma può anche essere la spia di una malattia grave, anche molto grave. Con la differenza che la deflazione buona è in genere molto rara, mentre un calo dei prezzi porta con sé in genere rischi davvero elevati. Il senso comune ha naturalmente le sue ragioni.

Quando i prezzi calano, e i redditi restano fermi, aumenta il potere d’acquisto: con la stessa cifra si possono comprare più prodotti rispetto, per esempio, a un anno fa. Avviene qualcosa del genere quando cala la benzina: quello che si risparmia alla pompa può essere usato per altri acquisti. Un calo della benzina non basta a creare deflazione, che è una flessione generale dei prezzi, perché solo pochi prodotti (sia pure molto importanti) diventano meno costosi. In questi mesi, a rigore, non c’è in Eurolandia e in Italia una vera deflazione. Si immagini però cosa accadrebbe se tutti i prezzi calassero in maniera sensibile: tutti diventerebbero più ricchi, se...

Il se, qui, è importante: i redditi devono restare stabili. L’Italia ha vissuto recentemente due fasi di deflazione, durante la Grande recessione e l’anno scorso: due periodi di crisi, durante i quali tante aziende hanno chiuso, molte persone hanno perso posti di lavoro o sono passate in cassa integrazione.

I redditi sono complessivamente calati e se qualcuno è stato più fortunato, qualche altro lo è stato molto meno. Il problema della deflazione è proprio qui. Si accompagna spesso alle crisi: ne è un segnale - durante le recessioni i prezzi calano perché la domanda è poca - e anche una causa. Per un motivo semplice: è più difficile pagare i debiti. Per un’azienda che si è indebitata - e tutte le aziende sane hanno una «giusta» quantità di debiti - la rata da pagare alle banche è sempre uguale, non scende con i prezzi. Semplificando un po’ le cose, si può dire che quando i prezzi scendono occorre vendere una quantità maggiore di prodotti per ottenere la cifra da versare ai creditori.

Quando l’impresa non ce la fa, deve tagliare i costi, a cominciare da quelli meno comprimibili: i salari (che sono anch’essi una forma di credito). Secondo alcuni economisti, se il costo del lavoro fosse flessibile, se potesse cioè scendere con i prezzi, la deflazione non sarebbe un problema; l’obiezione è che il calo generale dei salari - che interessa l’intera economia, non un settore o una singola impresa - farebbe ulteriormente calare la domanda e peggiorare le cose. Al contrario della deflazione, che penalizza i creditori - risparmiatori e lavoratori innanzitutto -, la deflazione danneggia quindi i debitori come le aziende e lo Stato (e chi ha contratto un mutuo). Il circolo vizioso È proprio qui che si annidano i veri rischi della deflazione. Le aziende cercano di prevedere i ricavi e i prezzi futuri per decidere sugli investimenti, e così fanno le famiglie. Se in prospettiva il costo dei prodotti scende per un periodo abbastanza prolungato, può apparire conveniente rinviare gli acquisti più importanti; ma questi rinvii fanno indebolire la domanda e possono far ulteriormente calare i prezzi. Si crea un circolo vizioso. Il Giappone lo sta sperimentando da quasi 20 anni e non a caso sono i debiti delle banche a costituire il punto debole del Paese. Anche se la deflazione, nella storia più temibile è stata quella dell’inizio degli anni 30 in Germania, scatenata dalla crisi del ’29 e da una politica economica di grande rigore e appesantita dai debiti di guerra: l’esito fu l’ascesa di Adolf Hitler al potere, con quel che seguì. La verità è che non ci sono scorciatoie «monetarie».

Perché un Paese si arricchisca occorre che lavori meglio. Il modo più sano di aumentare il potere d’acquisto è far aumentare i salari reali (gli stipendi depurati dall’inflazione) e per ottenere questo risultato occorre aumentare la produttività. Non lavorare più ore o con maggiore intensità, ma aumentare il valore aggiunto (ricavi meno costi del materiale e dei servizi utilizzati): migliorare i prodotti e ridurre gli sprechi. Con questo semplice sistema è anche possibile ridurre i prezzi senza controindicazioni. Sì, perché esiste anche una deflazione “buona” (buona come deflazione...). Ha un effetto positivo la deflazione che nasce da forti progressi nell’offerta dei beni. La nascita di una tecnologia che riduce i costi (si pensi ai computer) o che permette di confrontare meglio i prezzi (si pensi a internet); l’abbassamento dei dazi e delle tariffe, che fa rientrare nel circuito dell’economia globale nuovi Paesi (si pensi all’invasione di prodotti a basso costo cinesi e indiani); l’adozione di nuove regole che aumentano la concorrenza e riducono le posizioni di rendita: sono tutti elementi che creano pressioni al ribasso se non su tutti i prezzi, su molti di essi.

Quando nel 2003 i prezzi continuarono a crescere, ma a ritmi sempre più lenti - fu un periodo di disinflazione - alcune delle cause furono proprio queste; e non è escluso che nell’attuale fase in cui l’indice di inflazione cala ci sia anche l’apporto di questi fenomeni, tecnologia e globalizzazione.

Un’avvertenza è comunque necessaria: in economia (quasi) ogni cosa ha un costo, in questo caso rappresentato dalla deindustralizzazione e dalla perdita di molti posti di lavoro, ma l’effetto sui prezzi è stato innegabilmente positivo: si è parlato non a caso di economia low cost. Le vie d’uscita Come si esce dalla deflazione? Non è facile. Lo strumento principale è la politica monetaria, che ha però due vincoli. In generale, è più facile per una banca centrale ridurre i prezzi e frenare l’attività (alzare i tassi «pesa» molto sull’economia, molti piani di investimento vengono abbandonati), che alzare il costo della vita e spingere consumi e investimenti.

Abbassare il costo del credito ha un effetto solo indiretto, molto lento. Quando poi i tassi di interesse raggiungono quota zero, non è in genere possibile abbassarli ancora e occorre adottare nuovi strumenti. Tutti si riducono a questo: ritirare dal sistema economico quantità enormi di titoli finanziari, soprattutto titoli di Stato - la banca centrale può prenderli a prestito, o acquistarli dalle aziende di credito - e dare in cambio denaro liquido, nella speranza che venga impiegato in nuove iniziative e ridiano slancio agli investimenti. Tutte le banche centrali - ora anche la scettica Bce - hanno lanciato un quantitative easing, con risultati finora relativamente buoni, ma non sempre risolutivi.

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