lunedì 1 febbraio 2016

I rischi delle obbligazioni bancarie

Nel tempo, e soprattutto negli ultimi anni, ho investito buona parte del mio patrimonio finanziario in obbligazioni ordinarie della banca di cui sono cliente allo scopo di ottenere un rendimento sia pur leggermente più elevato rispetto a quello, sempre più basso, offerto dai titoli di Stato, a cui mi rivolgevo di solito. La stessa scelta è stata fatta da alcuni familiari, però in istituti diversi dal mio. Quanto accaduto alle banche salvate in extremis dal fallimento ci hanno un po’ preoccupato, resta però il fatto che le nostre non sono, fortunatamente, obbligazioni di tipo subordinato, come quelle dei risparmiatori che hanno perso i loro risparmi in quelle circostanze. Possiamo davvero sentirci tranquilli?


Non completamente. Non per il grado di solidità delle banche a cui il lettore e i suoi familiari hanno prestato i loro soldi comprandone le obbligazioni, citate a parte, che sono tra i migliori disponibili nel panorama italiano degli istituti di credito. Ma per il fatto che i futuri bail-in, in base alle regole introdotte da quest’anno a livello comunitario, vedranno coinvolti anche i detentori di obbligazioni ordinarie (oltre ai correntisti per un importo superiore a 100 mila euro).

La norma rischia di essere molto incisiva nel caso italiano, perché a differenza di altri Paesi europei, dove i bond bancari sono sottoscritti soprattutto da investitori istituzionali come fondi comuni, compagnie assicurative, fondi pensione, qui invece sono molto presenti nei portafogli delle famiglie, proprio perché le banche li hanno proposti massicciamente negli anni in cui, dopo la crisi del 2008, gli istituti di credito si trovavano a corto di liquidità e avevano particolarmente necessità di fare funding, come si dice in gergo, cioè raccolta di nuovi capitali. Ed emettevano le loro obbligazioni collocandole molto spesso direttamente tra i propri clienti.

Pertanto ora ci si trova in una situazione per cui le obbligazioni bancarie sono presenti nei dossier titoli delle famiglie italiane in misura tripla rispetto per esempio ai Cct, ai fondi comuni e alle altre obbligazioni societarie. E si calcola che per diversi istituti, soprattutto di piccole dimensioni, le obbligazioni societarie rappresentino più del 30% della raccolta complessiva.

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