giovedì 16 aprile 2015

Rischio Grecia. Come investire se la Grecia esce dall’euro

Investire protetti dal rischio Grexit

Pochi investitori pensano che la Grecia uscirà dall’euro, altrimenti non si spiega perché fino a questo momento il «contagio» da Atene al resto d’Europa sia stato molto limitato, perfino inesistente. Quasi tutti sono tuttavia concordi nel ritenere che la soluzione della questione ellenica non sia semplice e neppure tanto immediata, e la sostanziale partita a scacchi che si è giocata anche ieri in seno all’Eurogruppo ne è la conferma più evidente.


Lo stallo però tende a creare incertezza e quindi volatilità sui mercati: se non ci fosse la Grecia, sostengono in genere gli strategist, l’effetto del quantitative easing targato Bce sarebbe stato già molto più marcato di quanto non facciano intendere i rendimenti dei titoli di Stato europei sui minimi storici o le quotazioni delle Borse del Vecchio Continente al top. Le date da ricordare Il duello Tsipras-Troika funziona quindi in qualche modo da freno per una buona dose di operatori che altrimenti investirebbero in questo momento sull’Europa, la cui crescita è in generale favorita dal dimezzamento dei prezzi del petrolio e dagli effetti favorevoli del mini-euro sull’export (di ieri il dato da record registrato a dicembre dalla bilancia commerciale nell’Eurozona). Gli appuntamenti principali attesi sui mercati da qui ai prossimi mesi sul tema Grecia sono le periodiche decisioni della Bce sui finanziamenti alle banche locali (Ela, Emergency liquidity assistance) che si rinnoveranno ogni due settimane a partire da domani, la scadenza formale del piano di salvataggio a fine mese e il prossimo Eurogruppo dell’11 maggio.

Sono però in molti a scommettere che l’impasse possa realmente sbloccarsi in estate, quando fra luglio e agosto arriveranno a scadenza i bond greci detenuti dall’Eurotower e parte dei finanziamenti Fmi. Fino a quel momento chi investe dovrà essere pronto a sopportare un certo grado di volatilità in più, con sbalzi d’umore dei mercati a ogni nuova puntata sul braccio di ferro in atto e sarà messo di fronte a decisioni non proprio banali. Conviene per esempio comprare adesso e assumersi il rischio di contraccolpi da un’eventuale uscita della Grecia dall’euro, oppure attendere fino all’esito delle trattative in corso, con il rischio però di entrare sul mercato a prezzi ben superiori a quelli attuali?

Scelta difficile, appunto, che però può anche  essere alleviata mantenendo l’attuale esposizione e puntando contemporaneamente su attività che permettono di coprirsi nel caso si verifichi lo scenario più avverso per i listini.

Gli scenari possibili

L’ipotesi di abbandono dell’euro da parte di Atene, va detto, continua a non essere la più gettonata dagli analisti, né dai mercati stessi, ma il suo rischio non può essere certo definito trascurabile. In uno studio diffuso ieri, Morgan Stanley assegna una probabilità su quattro a un’uscita dall’euro. Crede invece a una soluzione positiva in cui la Grecia resti inserita in un programma di salvataggio senza riduzione del debito (55%) o a un’ipotesi intermedia «stile Cipro» che preveda un controllo sui flussi di capitale.

Altri sono anche più pessimisti, ma il punto chiave resta capire se l’eventuale separazione possa avvenire in maniera realmente «ordinata», cioè in modo da non creare un effetto domino, oppure se sarà «caotica», tale quindi da degenerare in rischio sistemico per l’intera Europa. Quest’ultimo, secondo gli analisti della banca d’affari, è infatti lo scenario potenzialmente peggiore che non tutti i mercati stanno scontando in modo analogo(è riflesso un po’ di più nelle quotazioni di Borsa, meno nei prezzi dei BTp e in generale nelle obbligazioni societarie europee) e dal quale occorre dunque proteggersi.

La «copertura» del dollaro

Coprirsi come un hedge fund non è però proprio operazione alla portata di un risparmiatore, ma qualche mossa alla portata di tutti per limitare l’impatto del classico «cigno nero» esiste. Una strategia suggerita da Morgan Stanley è per esempio quella di rimanere investiti in azioni e bond europei, aumentando al tempo stesso nel portafoglio il peso del dollaro a scapito di quello dell’euro.

Il motivo è piuttosto semplice: l’abbandono dell’Unione monetaria da parte della Grecia - è questo il ragionamento della banca d’affari newyorchese - finirebbe per penalizzare fortemente l’euro perché, avvenendo in maniera disordinata, potrebbe costituire un precedente pericoloso e uno stimolo per tutti quei Paesi della periferia che devono sottostare a misure di austerity (cioè Italia, Spagna e Portogallo) a cercare una via di fuga analoga.

In modo del tutto asimmetrico, una soluzione «buona» del caso Atene non lancerebbe necessariamente in orbita l’euro (ritorcendosi contro l’investitore) perché l’apprezzamento della valuta sarebbe comunque frenato dal differenziale fra la politica ultra-espansiva della Bce e quella presumibilmente restrittiva della Federal Reserve: l’euro, ritiene Morgan Stanley, sarà la valuta attraverso la quale gli investitori professionali si finanzieranno (imposteranno cioè il carry trade, come si dice in gergo) e per questo è destinata a indebolirsi.

Ma se per un gestore è relativamente facile coprirsi con le valute attraverso strumenti come le opzioni, per il risparmiatore la via più immediata resta l’acquisto di azioni Usa (con Wall Street che però viaggia ai massimi storici) e soprattutto di titoli di Stato americani (Treasury) e britannici (Gilt). Anche questi non si trovano certo a prezzi di saldo, ma potrebbero giocare un ruolo importante di «rifugio sicuro» nel caso del materializzarsi dello scenario più avverso di un contagio da «Grexit».

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