lunedì 16 marzo 2015

Obbligazioni argentine. Che fare? aggiornamenti 2015

Lettore indeciso sul da farsi nell’arbitrato argentino Sono possessore di 15mila euro di bond argentini che scadevano nel 2006, acquistati nel 1999. Non ho fatto causa alla banca anche se ho interrotto nel tempo la prescrizione con varie raccomandate.

Ho aderito all’arbitrato che però sembra bloccato. Noto che se mettessi in vendita sul mercato grigio il titolo subirei una perdita del 9%, contro quella del 70% di qualche mese fa. Sono molto indeciso se vendere e uscire dall’arbitrato, oppure aspettare in considerazione del fatto che nel 2015 scade il patto, se non ricordo male, che impediva all’Argentina di offrire somme a chi aveva acquistato i titoli alla pari o lì vicino senza dover pagare anche chi aveva aderito alla precedente ristrutturazione? Questo indipendentemente dal fatto che possa o non possa aspettare. Inoltre vorrei sapere da voi per quale motivo l’arbitrato in oggetto è bloccato e se esiste un modo per sollecitare tutto ciò.

Da fine luglio, a seguito del mancato rispetto della sentenza della Corte suprema americana, che imponeva il pagamento di 1,3 miliardi di dollari agli hedge fund possessori delle obbligazioni per le quali era risultata inadempiente, l’Argentina è nuovamente entrata in default sulle proprie emissioni internazionali governative, ristrutturate nel 2005 e nel 2010. «È il secondo default dello stato sudamericano, dopo quello del 2001, che interessò anche oltre 450mila risparmiatori italiani», spiegano a Norisk.

Una parte di essi ha sottoscritto le offerte pubbliche di scambio nel 2005 e nel 2010, mentre gli altri hanno optato per un arbitrato internazionale, con l’obiettivo di recuperare integralmente quanto investito. Gli interessi di tali obbligazionisti italiani sono rappresentati dalla Task Force Argentina (Tfa), creata dall’Associazione bancaria italiana (Abi); la Tfa ha promosso il suddetto arbitrato presso l’Icsid, acronimo di International Centre for the Settlement of Investment Disputes, e la decisione definitiva sembra ormai imminente. «La recente sentenza della Corte Suprema americana può rivelarsi utile per gli investitori italiani rappresentati dalla Tfa - spiegano da Norisk –: secondo il principio del “pari passu”, infatti, i creditori devono essere trattati allo stesso modo e pertanto, ogni volta che viene versata una cedola ai possessori di nuovi bond, deve essere pagato anche chi non ha accettato la ristrutturazione, per l’ammontare pattuito dal bond originario, ovvero il totale, dato che il titolo è scaduto.

La sentenza – proseguono da Norisk –, quindi, dà la possibilità ai detentori dei vecchi bond di bloccare i pagamenti per i nuovi titoli, se prima non vengono soddisfatte le loro richieste». Il lettore fa infine riferimento alla clausola Rufo (Rights Upon Futures Offerings), apposta ai titoli ristrutturati oggetti del primo default, che impone all’Argentina di garantire agli obbligazionisti le stesse condizioni più favorevolmente concesse ad altri creditori e che scadrà nel 2015. L’investitore ha già visto in passato il proprio capitale valere praticamente zero e deve scegliere ora se accettare la perdita e incassare quanto può, oppure aspettare gli sviluppi della vicenda, tenendo in considerazione il rischio che il Paese sudamericano continui la lotta contro i creditori, il che comporterebbe rivedere il proprio investimento nuovamente quasi azzerato. La scelta dipende dal profilo di rischio dell’investitore, se è disposto a scenari alternativi così estremi.

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