sabato 15 novembre 2014

Germania quasi in recessione. Perché non investire

Nelle prime ore del mattino del 10 maggio 1996 un gruppo di alpinisti si mise in marcia verso la vetta dell’Everest. Avevano passato la notte nelle loro tende a più di settemila metri d’altezza e ora volevano arrivare in cima. Ma scoppiò una tempesta. In teoria gli alpinisti avrebbero dovuto tornare indietro, ma si erano preparati a lungo per quella spedizione e avevano speso tanti soldi per organizzarla. Erano decisi a raggiungere la meta a ogni costo e così continuarono ad arrampicarsi.

Otto di loro persero la vita. La drammatica spedizione del 1996 è considerata un classico esempio del fenomeno della fede cieca in un obiettivo, un sentimento che fa ignorare tutti i segnali d’allarme. È la fede cieca nell’obiettivo che spinge il governo tedesco a perseguire il traguardo del pareggio di bilancio. In realtà negli ultimi anni tutti sono stati d’accordo sul fatto che la Germania non doveva contrarre altri debiti e che il governo doveva cercare, per la prima volta da cinquant’anni, di azzerare il deficit.


Un risultato che avrebbe dovuto comunicare affidabilità in questi tempi di turbolenze politiche ed economiche. Nel frattempo, però, sono scoppiate nuove crisi globali e altre ne sono riemerse: in Siria, in Iraq, in Russia, in Cina. Ora la crisi incombe anche sulla Germania. Ci sarebbero quindi molti buoni motivi per rinunciare all’obiettivo. Ma il governo tedesco non ha intenzione di cedere. Questo atteggiamento ha a che fare con l’ambizione personale di un ministro, con l’irritazione di un partito e con la debolezza della grande coalizione.

Il paese sorpreso Quando Ferdinand Fichtner attacca il pareggio di bilancio, a Berlino il cielo si rischiara. Fichtner è un economista del Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (Diw). Il 9 ottobre ha presentato il rapporto autunnale redatto dai principali istituti economici tedeschi, che ino a poco tempo fa sostenevano l’obiettivo del pareggio. Quel giorno, invece, Fichtner ha detto: “Non lo considero opportuno dal punto di vista economico”. Per capire il contesto bisogna sapere che in genere nel dibattito politico-economico i ruoli sono nettamente divisi: la sinistra vuole spendere di più e la destra preferisce risparmiare. Negli istituti di ricerca economica lavorano in prevalenza economisti conservatori, e ora proprio loro stanno mettendo in guardia dai pericoli del risparmio.

Questo capovolgimento è un indice del livello d’insicurezza raggiunto dalla Germania. Fino a poche settimane fa sembrava che niente potesse scuotere l’economia tedesca. In fondo il paese è uscito indenne dalla crisi degli ultimi anni, mentre nel resto d’Europa la disoccupazione aumentava. Ma in questo momento nel mondo ci sono troppe crisi. L’economia aveva già cominciato a contrarsi in primavera, e nei mesi estivi gli imprenditori tedeschi hanno dovuto frenare notevolmente la produzione. Se la crescita non riprenderà, sarà solo questione di tempo prima che la disoccupazione aumenti e il gettito fiscale si riduca. Persone come Fichtner temono questa eventualità, perché in quel caso il governo dovrebbe tagliare le spese per raggiungere comunque il pareggio. In realtà per lo stato valgono regole diverse da quelle dei bilanci privati: se i soldi diminuiscono il consumatore deve tagliare le spese, mentre lo stato dovrebbe fare il contrario, tanto più se, come in Germania, i bassi tassi d’interesse gli permettono di prendere denaro in prestito quasi gratuitamente e di usarlo magari per rimettere in sesto le scuole e i ponti fatiscenti.

Quello che resta Quando Wolfgang Schäuble si innervosisce, lo dà a vedere. E il 10 ottobre 2014 il ministro delle inanze tedesco era molto nervoso. Partecipava a una tavola rotonda a Washington insieme all’ex ministro del tesoro statunitense Larry Summers. Quando Summers ha detto che la Germania doveva spendere di più per sostenere l’economia, Schäuble si è irrigidito, issando il muro in modo ostentato. Nella visione statunitense il compito del ministro delle inanze è quello di mettere in moto l’economia. In Germania, invece, i ministri delle inanze sono innanzitutto ministri del bilancio: hanno successo se riescono a spendere il meno possibile. In realtà con questa prospettiva Schäuble non è mai andato molto lontano. Da quando è in carica, l’emissione di nuovi titoli di stato tedeschi si è ridotta, ma il motivo è che, grazie alla congiuntura positiva, lo stato incassa più tasse. Schäuble non ha elaborato un programma di risparmio, non ha intenzione di estinguere i debiti né si è fatto fotografare con un salvadanaio. Ma è anche un politico preoccupato di come sarà ricordato nei libri di storia. È in parlamento da quarant’anni, è al suo secondo mandato da ministro delle inanze e sa che non ce ne sarà un terzo. Per un ministro delle inanze i possibili piani di portata storica non sono molti. Il superamento della crisi europea avrebbe dovuto essere il grande progetto di Schäuble, ma non ci è riuscito, e quindi gli resta solo il pareggio di bilancio.

Nel 2008 Peer Steinbrück, il predecessore di Schäuble, era quasi riuscito a raggiungere quest’obiettivo, ma è stato fermato dalla crisi. Schäuble non l’ha dimenticato. Oggi però, rispetto ai tempi di Steinbrück, c’è un altro fattore da considerare: la frustrazione della Cdu e degli alleati bavaresi della Csu. I cristianodemocratici sono demoralizzati dal fatto che la Spd abbia ottenuto il salario minimo e la pensione a 63 anni, mentre l’impronta della Cdu è quasi indistinguibile. Il pareggio è il progetto con cui i conservatori s’identiicano. È anche possibile che la Germania non riesca ad andare avanti senza contrarre nuovi debiti, ma i comuni e la previdenza sociale registrano da anni perino dei surplus di bilancio, segno che nel complesso il paese ha dei conti sani. Anche per questo la Commissione europea chiede al governo tedesco di spendere di più. Ma i cristianodemocratici non possono permetterselo, perché il pareggio è un simbolo del proposito di farla finita con l’economia dell’indebitamento. A questo punto, però, alcuni esponenti della Cdu rimpiangono di non aver scelto un altro simbolo.

L’irritazione della Spd Mentre Sigmar Gabriel, il presidente della Spd, sembra ancora una volta sconfortato, il vicepresidente Ralf Stegner si schermisce: “Ho solo ribadito quello che era scritto nel nostro programma per le elezioni europee”, mormora. È lunedì mattina presto e la seduta del consiglio direttivo della Spd è quasi conclusa quando Gabriel issa il suo cellulare con sguardo inorridito. È venuto a sapere che Stegner, uno dei suoi vice, ha attaccato pubblicamente la linea di risparmio del governo. Il pareggio non è un obiettivo socialdemocratico, bisogna investire nell’istruzione e nelle infrastrutture. Gabriel ha una strategia diversa: mantenere la calma, assicurare il rispetto dell’accordo al partner di coalizione e stare a guardare mentre la Cdu e la Csu si fanno a pezzi da sole. Devono essere i cristianodemocratici, non la Spd, ad accantonare l’obiettivo del pareggio. Inoltre è dalle elezioni del 2013 che Gabriel cerca di togliere il vizio dell’indebitamento ai suoi compagni. La Spd deve sbarazzarsi del cliché di partito incapace di gestire i soldi. Ampi settori del partito non condividono la sua linea. Come si fa, chiedono, a spiegare alla base che risparmiare è giusto, mentre in campagna elettorale si puntava il dito contro il risparmio che aggrava la crisi? Più che adottare una tattica, per alcuni esponenti della Spd il loro presidente si sta “attaccando ostinatamente ai princìpi”. L’argomentazione più importante di Gabriel è che la rinuncia al pareggio sarebbe prematura, perché non è ancora chiaro quanto sarà grave la recessione. Questa è la differenza sostanziale rispetto alla precedente grande coalizione, quando la Spd elaborò un programma congiunturale che prevedeva la cassa integrazione e incentivi alla rottamazione, salvando così molti posti di lavoro. In seguito Angela Merkel si è attribuita il merito di quel risultato, ma questa volta la Spd non riesce neanche a innescare il cambiamento.

Una nuova versione della storia Lo scrittore Jon Krakauer ha raccontato in un libro commovente la drammatica spedizione sul monte Everest, scatenando un enorme dibattito su come proteggere se stessi e gli altri dal desiderio di raggiungere un obiettivo a tutti i costi. I politici non possono cambiare piani facilmente come un gruppo di alpinisti. Non possono fermarsi e battere in ritirata di punto in bianco. I politici devono spiegare la loro linea, devono illustrare i motivi del loro cambiamento di rotta. Angela Merkel racconta da anni ai tedeschi che il pareggio di bilancio è necessario per evitare che le generazioni future siano sommerse dai debiti. Così ha dato l’impressione di preoccuparsi degli altri. Anche per questo la Germania ha superato la crisi senza restarne minimamente turbata. I cittadini erano convinti di poter fare affidamento su Merkel. Ma l’affidabilità è diversa dall’ostinazione. Perciò la spiegazione della rinuncia al pareggio dovrebbe contenere esattamente questo messaggio: il governo sta facendo dietrofront proprio perché la situazione della Germania resti uguale.

0 commenti:

Posta un commento