mercoledì 17 dicembre 2014

Investire in Brasile conviene ancora?

investire brasileLa borsa di San Paolo è stata tra le peggiori del 2013, accusando una perdita del 25%, mentre il real ha ceduto il 13% rispetto al dollaro. La graduale riduzione del quantitative easing ha evidenziato che questa economia è tra quelle più vulnerabili al riequilibrio dei flussi d’investimento. Ma anche le difficoltà strutturali e una macchina dello stato che funziona male hanno un forte peso: nella classifica mondiale per facilità di fare business, il paese occupa la posizione 130 su 185.

L’economia brasiliana, anche prima del dazio che è stata costretta a pagare a causa dei deflussi che hanno coinvolto i mercati emergenti negli ultimi mesi, aveva inviato diversi segnali del rallentamento che stava interessando il motore della crescita dopo un progresso durato oltre un decennio. L’incremento del 7,5% messo a segno dal Pil nel 2010 è ormai un ricordo del passato. Da allora, il gigante sudamericano ha vissuto momenti difficili. La variazione del Prodotto interno lordo nel 2013 si è fermata al 2,3%, un livello sensibilmente più basso rispetto al range del 4-5% fissato dal governo.

Nel 2013, l’indice Bovespa della Borsa di San Paolo ha avuto uno dei comportamenti peggiori a livello mondiale, accusando una contrazione di circa il 25%. Lo scorso ottobre, lo stato d’insolvenza dichiarato dalla società petrolifera Ogx ha rappresentato il più grande default della storia delle corporate in America Latina. La caduta in disgrazia di Eike Batista, magnate delle commodity e proprietario dell’azienda fallita, si è trasformata nel simbolo del cambiamento dei tempi per l’economia domestica. Alcune indicazioni sulle difficoltà del Brasile erano pervenute anche dalla Federal Reserve che, annunciando l’inizio della graduale riduzione del quantitative easing, ha sottolineato che il paese sudamericano sarebbe stato tra quelli più vulnerabili al riequilibrio dei flussi d’investimento avviato attraverso il tapering. Il real brasiliano ha accusato una svalutazione del 13% lo scorso anno, in un periodo in cui il surplus della bilancia dei pagamenti del 2012 (16.750 milioni di dollari) si è rapidamente trasformato in un deficit di 12.260 milioni nel 2013 (il peggiore dell’ultimo decennio).

Ancora più preoccupanti sono stati gli sforzi compiuti dal governo federale di Brasilia per salvaguardare la spesa dei consumatori, che è stata un fattore determinante per la crescita conseguita nell’ultimo decennio. Le vendite al dettaglio hanno registrato il loro peggiore anno a causa della combinazione negativa innescata dall’aumento dell’inflazione e dal calo di fiducia dei consumatori.

La riduzione delle imposte sulle automobili e il generoso sussidio concesso ai carburanti hanno minato la fiducia nella politica fiscale dell’esecutivo e scosso le finanze di Petrobras, colosso statale del settore energetico. Dinanzi alla minaccia della revisione al ribasso dell’affidabilità creditizia da parte delle principali agenzie di rating (di fatto, il 24 marzo Standard and Poor’s ha applicato un downgrade del rating brasiliano da BBB a BBB-), il governo ha promesso un taglio della spesa pubblica, nonostante il rischio di causare un ulteriore rallentamento della crescita con tale mossa.

La fine della fase di crescita accelerata, alimentata dalle esportazioni di commodity verso la Cina e dai consumi interni, ha spostato l’attenzione verso la produttività perennemente bassa dell’economia brasiliana, rinnovando la discussione sulle soluzioni da adottare. A partire dal 2003, la crescita carioca è stata in larga parte il risultato, per la prima volta nella storia del paese, dell’inclusione di milioni di nuovi lavoratori nel mercato dell’occupazione e nel circolo dei consumi, anche grazie ai programmi di trasferimento del reddito voluti dal governo (Bolsa Familia). Al contrario, nessun progresso e nessun programma hanno coinvolto il problema della bassa produttività. Tuttavia, ora che i più poveri ricevono qualche forma di assistenza da parte dell’esecutivo e che il paese è vicino alla piena occupazione, gli esperti pongono l’accento sulla soluzione del problema della produttività, indicandola come uno dei fattori capaci di garantire la crescita futura. Nel decennio anteriore al 2011, il 74% dell’incremento del Pil brasiliano era imputabile all’ingresso di un numero crescente di persone nel mercato del lavoro. Nello stesso periodo, la produttività era aumentata solo del 26%.

In Cina, il 7% dell’incremento del Pil è attribuibile ai maggiori consumi e il 93% all’incremento della produttività. In India, il 18% deriva dalla crescita del numero di occupati e l’82% dai guadagni in termini di produttività. I colli di bottiglia che impediscono di fare progressi sul versante dell’efficienza industriale sono diversi: le infrastrutture obsolete, il livello di educazione precario che genera una mancanza cronica di lavoratori nelle discipline tecniche, la burocrazia ingombrante.

Chiunque decida di fare business in Brasile sperimenta questi problemi. Particolarmente disastrata è la situazione delle infrastrutture locali, che occupano la posizione 104 tra 142 paesi censiti a livello mondiale. Il tasso d’investimenti continua a rimanere molto basso: rappresenta il 18,4% del Pil. Un’inchiesta realizzata dalla Banca Mondiale ha constatato che le imprese brasiliane spendono 2.600 ore in più all’anno per l’adempimento degli oneri fiscali, rispetto a società di pari dimensioni localizzate in Cina e India. Aprire un’impresa in Brasile richiede in media 119 giorni. Nella classifica mondiale per facilità di fare business, il paese carioca occupa la posizione 130 su 185.

L’eliminazione di queste barriere darebbe una spinta notevole alla produttività. Tuttavia, dopo l’accelerazione data da Lula da Silva durante la sua presidenza, Dilma Rousseff ha rallentato il processo a causa di alcuni interventi tendenzialmente protezionistici in settori strategici (petrolio, energia, strade, aeroporti). Azioni che hanno finito per abbattere ai minimi l’interesse degli investitori. Ancora una volta, l’interferenza del governo ha provocato un calo nella fiducia nelle potenzialità di questa nazione. Questi hanno la possibilità di realizzare i profitti sperati dall’investimento in Brasile, ma non hanno la certezza di potere riportare nello stato d’origine una parte degli utili. Negli ultimi anni, il paese ha accumulato riserve che non sono dovute alla presenza di un surplus commerciale, ma derivano dalla capacità di attrarre elevati volumi di capitali accompagnati da un’ottica d’investimento di breve termine. Questa situazione potrebbe fare aumentare la vulnerabilità dell’economia locale. In primis, una perdita di fiducia degli investitori internazionali può innescare un deflusso di capitali verso l’estero. In secondo luogo, i prezzi delle commodity potrebbero non fare ritorno su livelli elevati o ridursi ancora di più. Molto dipenderà dalla domanda cinese e questo legame impone la necessità di imporre un tasso di crescita più sostenuto alla produttività.

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