lunedì 24 giugno 2013

Investire nel petrolio–previsioni 2013

investire-petrolioDietro l’angolo c’è sempre la Cina. E’ da quella parte che bisogna guardare per scoprire il futuro del petrolio. L’Ocse ha ragionato così nel suo ultimo studio, caduto come un fulmine a ciel sereno su un mercato che lo dava per stabilizzato sotto i 120 dollari al barile, in base alle previsioni più accreditate. Tra le altre, anche la stima dell’International Energy Agency suggerisce che le quotazioni medie non dovrebbero superare i 120 dollari da qui al 2020. E il governo Usa considera addirittura medie più basse. Invece no.

L’Ocse prevede un andamento del Brent ben più preoccupante, in ascesa costante fino a una media di 190 dollari al barile nel 2020, con una vasta possibilità di escursione tra i 150 e i 270 dollari. «Gli analisti si sono basati sulle nuove fonti di estrazione per stimare l’andamento del prezzo, ma se si osservano con attenzione le dinamiche della domanda e le sue implicazioni, si scopre che quelle stime non sono vere», spiega Isabelle Koske, una degli economisti dell’Ocse che hanno firmato il rapporto «The Price of Oil - Will it Start Rising Again?».

Malgrado l’espansione dell’offerta di petrolio, derivata dall’estrazione di shale oil in Nord America, quindi, l’Ocse considera inadeguate le stime uscite finora. Lo studio si concentra sul lato della domanda asiatica, destinata a esercitare un’influenza centrale sui prezzi.

Sorpasso Non più tardi della settimana scorsa, il dipartimento dell’Energia dell’amministrazione Usa ha certificato il sorpasso della Cina sugli Usa come primo importatore mondiale. Nel prossimo trimestre, per la prima volta nella storia, i Paesi non-Ocse consumeranno più petrolio dei Paesi Ocse: 44,9 milioni di barili al giorno contro 44,7 milioni secondo le stime dell’International Energy Agency. In questa prospettiva, «il mercato richiederà un forte aggiustamento di prezzo per far fronte alla domanda crescente», ribadisce Koske.

Nello studio non si fa altro che andare a guardare come l’ascesa dei consumi interni nei Paesi asiatici abbia influenzato la domanda di petrolio negli ultimi 20 anni, applicando poi questo modello al futuro. In India, Cina e Indonesia la domanda di petrolio ha seguito un andamento quasi perfettamente sovrapponibile alla crescita del reddito pro capite. Prospettive A differenza delle economie industrializzate, questi Paesi non sono ancora riusciti a ridurre la quantità di petrolio utilizzata per alimentare la produzione industriale.

E, considerando che saranno loro a fare la parte del leone nella crescita economica globale dei prossimi anni, sono chiare le ricadute sulla domanda mondiale di petrolio. Chiare, entro i limiti di ogni stima possibile sulle prospettive di un mercato che rimane largamente imprevedibile.

La prima domanda ad esempio, sorge spontanea: non sarebbe logico, diventando più ricchi, che questi Paesi seguano lo stesso processo delle economie industrializzate, introducendo un utilizzo più efficiente dell’energia? «È possibile che l’intensità petrolifera delle economie non Ocse tenda a convergere con quella dei Paesi Ocse, ma non è affatto chiaro se e quando questo avverrà. Anzi, l’intensità petrolifera di Cina ed India potrebbe addirittura aumentare, man mano che la gente diventerà abbastanza ricca per comprarsi una macchina», commenta Koske.

Il ragionamento può sembrare semplicistico, come hanno già fatto notare diversi critici, fra cui gli analisti del governo americano, che calcolano le variazioni future della domanda in maniera più dettagliata. Ma non può essere ignorato. Già oggi, del resto, il mercato petrolifero è profondamente cambiato rispetto a un paio d’anni fa, con il Brent diventato il principale riferimento di prezzo del mercato, contro il greggio americano Wti, sceso a 90 dollari al barile e quindi sempre meno interessante per gli operatori.

D’altra parte, invece, sale l’interesse per le quotazioni del greggio di Dubai, punto di riferimento principale per tutto il mondo asiatico, visto che partono soprattutto dal Golfo Persico le petroliere di approvvigionamento per la Cina. Queste variazioni, che vengono a sconvolgere i meccanismi di fondo di un mercato rimasto costante dagli anni Settanta ad oggi, dimostrano che la Cina è sempre più vicina.

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