lunedì 24 giugno 2013

Investire nelle società del lusso?

Fermento da trimestrali anche sul settore del lusso. La crisi dei consumi ha infatti bussato alla porta anche di quelle società il cui prestigio ha da sempre reso inattaccabile la nicchia di riferimento. Non è bastato ai grandi marchi del lusso internazionale sbarcare nei cosiddetti paesi BRIC per mantenere inalterata la forza del brand.

Prada, Gucci e Burberry hanno dovuto fare i conti con una sostanziale modifica della propria strategia, sostituendo all’esclusività l’apertura di una fitta rete di punti vendita in Cina e in India nel tentativo di incrementare le vendite al di là delle grandi metropoli. Gli analisti prevedono infatti entro il 2015 un incremento del mercato del lusso in India di 15 miliardi di dollari grazie all’attrazione di acquirenti facoltosi provenienti dalla aree non metropolitane. Tuttavia, i “nuovi ricchi”, adulati dalle maison del Vecchio Continente cominciano a stringere la cintura guardando al fermento dello stesso mercato interno.

Una sfida cruciale quella della fidelizzazione che ha finora permesso di cavalcare l’onda del “Made in West” facendo leva su un rincaro di circa il 64% sul medesimo prezzo in terra a stelle e strisce. Secondo un report di Bernestein Research ripreso dal Wall Street Journal infatti, Mercedes, Audi e BMW avrebbero sovraccaricato i prezzi per i clienti cinesi di oltre il 60%, benché i costi della produzione in territorio mandarino siano più contenuti. Tenuto conto dei ricarico delle tasse già incluso e altri oneri, il rincaro medio rimane comunque del 37%, non giustificabile dal numero e dalla tipologia di opzioni accessorie richieste dalla clientela cinese.

Nomi tanto emergenti quanto le economie nazionali stanno cominciando a trovare un certo seguito, soprattutto quelli provenienti dalla Corea e dalla Cina. Avvalendosi dagli stessi fornitori di Hermes, Gucci, Prada e Louis Vuitton, si presentano al mercato non come “fake low cost” dei brand europei ma come risposta ai nuovi gusti della clientela, non solo asiatica.

Dal lato operativo, si teme quindi che sempre minori investitori istituzionali continueranno a puntare sui titoli cosiddetti “value” del lusso europeo, affaticati dall’assottigliamento del mercato interno, per guardare alle prossime mosse dei grandi “brandholders” come LVMH e PPR ( Kering a partire da giugno) sempre a caccia di nuovi marchi per diversificare il proprio portafoglio. Numerose sono le case italiane già finite sotto l’egida di uno dei due gruppi francesi, da ultima l’azienda orafa milanese Pomellato, ceduta a Kering, già proprietaria di Gucci, Bottega Veneta, Brioni e Sergio Rossi.

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